lunedì 20 giugno 2011

UN BRAVO VIAGGIATORE NON LASCIA TRACCIA


‘IL GAUCHO ALZADO’


‘Un bravo viaggiatore non lascia traccia’
( Lao Tzu)


‘Lavoratori di tutto il mondo unitevi e smettete di lavorare’
(Jim Haynes 1978).


Lo sorpresero nel sonno, così almeno vuole la leggenda, ‘altrimenti non sarebbero mai riusciti a prenderlo’, e lo crivellarono di pallottole. Una foto lo ritrae a dorso nudo, la barba lunga, con il corpo avvoltolato in una coperta che lo avvolge quasi fosse un sudario, steso su un letto stretto e lungo.
Come sempre succede in questi casi, sugli avvenimenti che portarono alla sua morte esistono diverse versioni. Del resto è questo il destino degli eroi popolari, in quanto chi li ha conosciuti non si può certo contentare della versione ufficiale. I rapporti della polizia insistono sul fatto che i poliziotti che lo uccisero furono costretti a sparare dopo che questi aveva cercato di estrarre la rivoltella. Per alcuni Bairoletto non cercò nemmeno di difendersi perché, nella stanza dove stava riposando c’era una bambina che sarebbe stata certamente uccisa dal fuoco incrociato e , per salvarla, lui avrebbe tentato una fuga disperata.
Questa storia potrebbe portare il più scontato tra i titoli. Un titolo del tipo : ‘Bairoletto, l’ultimo gaucho’ o magari ‘Il gaucho ribelle’, o anche ‘L’ultimo bandito della pampa’, o magari ‘Il Robin Hood della pampa’ . Titoli questi che stanno tra il sensazionalistico e lo scontato, tentativi di ossificare in una rassicurante parola una realtà tanto scomoda. Perché l’immagine del gaucho che è stata tramandata dai media è quella dell’innocuo nostalgico, buono in fondo soltanto a rimpiangere i bei tempi andati, quando la ‘la pampa’ era grande e sconfinata e le mucche pascolavano libere. Storie che vogliono i ‘gauchos’ in fondo capaci soltanto  di raccontare attorno al fuoco le leggende che la nebbia porta con sé, grandi consumatori di carne arrostita sulla brace, inveterati bevitori di ‘mate’ , cavalieri abilissimi nella doma , cantori di storie strazianti di amori traditi, di innocenti incarcerati e di madri che diventano bianche nei capelli a furia di aspettare che il figlio torni da carcere  ormai mondo  e redento.
E anche l’inizio di questa storia sembra tratto di peso da un film di Renoir. Tutto infatti comincia quando quel ragazzo che portava sempre un foulard bianco di seta al collo e  l’espressione di chi è cresciuto per strada si innamora di una prostituta che è anche     desiderata da  Elias Farache, un poliziotto di Mendoza. Bairoleto gli spara allora nel collo, quando esce dal carcere è già una leggenda. Come lo saranno , più o meno nello stesso periodo Mate Cosido, ‘ il bandito dei poveri’, colui che rubava soltanto alle multinazionali americane , ‘El Tigre de Quenon’, ‘El Gaucho Lega’ , El Gauchito Antonio ‘Curuzù’. Nomi e gesta che sono state cantate nell’epica popolare dell’Argentina intera.
Perché Bairoleto o Vairoleto , nato da due genitori italiani nell’Argentina della fine dell’ ‘800, anche se questo assolutamente non è importante, fu in qualche modo il più riuscito frutto o almeno quello più conosciuto di quell’ ‘Anarquismo trashumante’ composto da ‘crotos’, ‘linyera’, ribelli, ‘atracadores’, ragazzi in fuga da tutto e tutti, che fu tanto attivo nell’Argentina , durante gli anni che vanno all’incirca dal 1910 al 1940.
Erano fuggitivi dalla famiglia o dal sistema salariale, o magari da tutte e due le cose assieme. Peones che rifiutavano di sfiancarsi per poche pesetas in turni di lavoro di sedici ore al giorno e che avevano sempre negli occhi quello che era successo ai loro fratelli nel 1921 , quando a migliaia  erano stati massacrati nelle terre australi dal colonnello Varela.
C’era chi vendeva prodotti artigianali e bigiotteria povera . Chi si inventava mercante di cianfrusaglie e di stringhe dalle  scarpe. Altri per campare si compravano un carretto e un cavallo e realizzavano così un riciclaggio tanto primitivo quanto efficace. Per mangiare cacciavano nutrie e volpi.
Molti  tra di loro erano militanti con la borsa piena di libri, di volantini e di stropicciati periodici. Avevano sempre vecchi numeri de ‘La Protesta’ o della ‘Antorcha’ nella sacca e arrivavano fin nel più riposto angolo di quell’immenso paese. Si installavano come maestri nel pueblo più miserabile e isolato, alfabetizzavano gli abitanti di quei villaggi persi nel nulla , che non avevano neanche diritto a un microscopico puntino sulla carta geografica e fondavano biblioteche popolari, sindacati agrari, gruppi teatrali , di letteratura e di studio.
Facevano conoscere filosofi come Malatesta, Kropoktin, Bakunin, Faure, Fabbri, Reclus, José Ingenieros, Gorkin, Tolstoi, Stirner, Nietsche , Schopenauer o gli scritti del dimenticato Panait Istrati.
Erano i re della linea ferroviaria, viaggiavano infatti sempre sui tetti dei carri merci o al massimo nei carri bestiame, erano l’elite stracciona degli spazi sconfinati. Portatori di una controcultura itinerante, libera,fluida,insensibile al potere,al padrone e alla polizia .
Tra di loro molti erano i ‘lingera’, le  golondrinas(le rondini) che con una sacca in spalla, arrivavano a primavera , viaggiando sui vapori di terza classe, che portavano quella forza lavoro indispensabile allo sviluppo mondiale del capitalismo. Parlavano il criollo-genovese , si spostavano da Tucuman a Santa Fe, in una specie di instancabile pendolo che li faceva cantare : ‘Da Tucumana a Salto, da Salto a Santa Fé, il povero lingera viaggia sempre  sempre a piè , perché, perché non guadagna’.
Alcuni  tra di loro avevano conosciuto Gregor Goz, che aveva organizzato il primo congresso dei vagabondi a Stoccarda in cui si proclamò la : ‘Huelga general de toda la vita’ e Jost Pompold che sosteneva convinto che ‘il giorno in cui tutte le donne del mondo si daranno alla prostituzione, comincerà il vero clima rivoluzionario’.
In Germania  i soli ‘Wanderee Wandervoleg’ ‘ i pappagali erranti’ erano almeno 15.000  , più di 50.000 i ‘vagabondi consapevoli’ quelli di tutto lo stato. Vivevano in capanne sugli alberi, nascoste nel più profondo dei boschi,  un quarto di essi  morirono nelle trincee, durante la prima guerra mondiale, Erano tedeschi, ma anche svizzeri, svedesi, e olandesi, che rifiutavano lo stato che letteralmente non capivano cosa potesse significare per un uomo una frontiera. Anarco-individualisti che vivevano di raccolti stagionali e di lavori saltuari. Avevano anche una lingua propria di più di  2000 parole . Si chiamavano orgogliosamente monarchi e  si scontravano con la polizia. Andavano verso le spiagge del  Baltico, tornavano nella Foresta Nera o puntavano verso le enormi foreste che vanno ad oriente, quelle nei quali un uomo può arrivare fino agli Urali, senza mai incontrare una radura. Tra di loro Maxim Gorki, Eric Musham che fondò i ‘Vagabondi’, inventò il cabaret, fu pittore , poeta, delegato della Repubblica dei Consigli della Bassa Baviera, prima di venire ammazzato dai nazisti.
Dalle loro fila era uscito Kurt Wilckens  di ricca famiglia tedesca, che , prima di ammazzare Valera era stato tante cose. Emigrato  negli Stati Uniti,aveva lavorato  in una fabbrica di pesce in scatola e infine nelle miniere di carbone. Partecipato agli scioperi e alle assemblee degli IWW, fino ad essere espulso verso l’Argentina.  Roscigna  che era stato assieme a loro, sul periodico ‘Anarchia’, aveva scritto che la vita dei ‘crotos’ era stata per lui un  ‘Viaggio di coscienza attraverso la linea’
Non avevano nulla dei bohemiens, era la loro la ribellione all’eterno moto del capitale.
Era infatti  il capitale internazionale con il suo movimento incessante che produceva l’ ‘andar per via’. Erano quelli che la seconda rivoluzione industriale aveva inteso lasciare dietro di sé. Contadini e piccoli allevatori rovinati dai crediti, operai immigrati che la meccanizzazione e la disciplina della grande fabbrica espelleva dalle città dove si erano illusi di trovare il benessere . Capaci di organizzare sindacati e scioperi, tanto che la ‘Antorcha’, il  primo maggio del 1925 aveva  un titolo: ‘Lingera Fratelli nostri’. In molti vivevano in gruppi che si chiamavano gli ‘Iconoclasti’,  gli ‘Intellettuali’, gli ‘ Increduli’, o gli  ‘Assemblatori di idee’.
Fondavano riviste come il ‘Manifiesto’, ‘Alba Libertaria’, ‘La Rebélion’, ‘Pampa Libre’ e ‘Los Atorrantes’, ‘Los Desheredados’,  ‘La Libre Iniciativa’, ‘El Descamisado’o ‘Germinal’ che arrivò a tirare 2000 copie. Fogli itineranti,  come le redazioni che li componevano.
Una gallina , delle uova lasciate incustodite erano preda facile per loro . Portavano soprannomi come ‘El Ladrone’, ‘Fachabruta’, ‘Boquita’  Erano anche pistoleros, tenutari di bische clandestine e contrabbandieri. C’era infatti di tutto tra di loro,  anche delinquenti, che andavano da semplici rubagalline a  rapinatori professionali di banche, temutissimi questi dalla polizia, che spesso partecipavano ai picnic di Islas Maciel, dove molti portavano le armi per fare pratica di tiro.
Tra di loro Emilio Uriondo che poi andò con Severino e gli altri ‘espropriatori’  
 o Finamori , strano tipo, almeno per la morale corrente, che rifiutò sempre qualsiasi documento  e che rimaneva non più di un paio di mesi in un posto, il tempo del raccolto, per poi riprendere a viaggiare.
Fu costituita anche  una comune di dieci persone, di cui si conosce il nome : ‘Comuna Labor de Bueye’. Tra di loro a volte si formavano coppie solide e durature , e tutti  conoscevano mille mestieri, sapevano essere infatti, a seconda della bisogna , macellai, meccanici, autisti, braccianti , operai , sarti o fabbri.
Per Riera Diez, quella dei ‘lingeras’ era ‘un apprendistato per la militanza sociale’, perché la vita sulla strada ti portava nel più profondo delle cose, ti obbligava a contare sulle tue sole forze, ti insegnava come sopravvivere alla polizia .Imparavi i mille lavori indispensabili a sopravvivere, conoscevi una cultura che era allo stesso tempo quella materiale del lavoro e quella sovversiva della parola scritta . Una cultura comunque sempre alternativa a quella ufficiale che si sostanziava nella figura del probo lavoratore, impermeabili alle perniciose idee che arrivavano di là dall’Atlantico.
Non a caso dai ‘trashumantes’ uscirono tanti dei più determinati e preparati sindacalisti della FORA.
Erano tra i 200.000 e i 400.000  i ‘crotos’,  un numero enorme per l’Argentina di quei tempi, tanto che si poteva tranquillamente sostenere che non ci fosse  una famiglia  allora che non avesse un linyera in casa.
Tipi pericolosi per il sistema, visto che si chiamavano fuori dal capitale e dallo stato, tipi da reprimere per evitare la saldatura tra  chi era capace di ribellarsi in modo autonomo e quel proletariato di fabbrica che stava abbandonando la campagna e giunto in città, doveva diventare disciplinata manodopera per le grandi fabbriche taylorizzate che il capitale straniero stava edificando in tutta quanta l’Argentina.
Così lo stato argentino cominciò al principio degli anni ‘20 la sistematica e spietata repressione di quei vagabondi tanto pericolosi. Successe in Argentina  in fondo quello che venti anni prima  già era successo negli Stati Uniti. Quando Edgard Hoover, iniziò la repressione dei ‘wooblies’perché essi attentavano alla sacra anima degli Stati Uniti d’America.  I ‘wooblies’ furono così uccisi a diecine come avvenne a Mckees Rock , incarcerati a migliaia o deportati nel deserto dell’Arizona. I loro dirigenti linciati come successe a Frank Little.
Una cosa analoga successe in Argentina, a partire dal 1922 con la presidenza di Marcelo Teodoro Alvear e soprattutto con il colpo di stato di Uriburu che, inaugurò a partire dal 1930 la ‘Decada Infame’. Quando a decine, specialmente i militanti dei sindacati dei contadini ‘sparirono’ per sempre, persi nel nulla .
Il mondo dei ‘crotos’ fu così ‘bonificato e di quel mondo  in qualche modo la morte di Bairoletto  sancì la fine..
Quando fu ammazzato era il 14 settembre del 1941 e l’ultimo ‘gaucho alzado’ non aveva ancora compiuto quarantasei anni. Cadde in via general Alvear a Mendoza , già sposato e padre di due figlie. Era ormai fuori da tutto da ormai una decina di anni e si era illuso, del resto a quei tempi quarantasei anni erano una bella età , di essere stato dimenticato.
Per il suo funerale, arrivarono a miglia da tutta quanta la pampa per accompagnarlo alla tomba in quello che fu un omaggio collettivo che soltanto spetta agli eroi popolari. Nelle fila , mentre lo accompagnavano al cimitero,si commentavano le sue avventure, di quando aveva assaltato lo stabilimento de ‘La Criolla’, dei tanti torti che aveva raddrizzato. Di come avesse ucciso un poliziotto che aveva bruciato gli occhi a un suo cavallo. E tutti erano convinti che Bairoletto si fosse ucciso e non avesse voluto fuggire perché se si fosse deciso a scappare, non l’avrebbero mai ripreso perché i suoi cavalli correvano più veloci del vento.
Fu seppellito in una tomba a Mendoza,  che venne immediatamente ricoperta di fiori
La foto che è stata messa in un ovale al centro della croce in granito nero, lo mostra giovane e in divisa da cadetto, un rosario è stato avvolto sul braccio trasversale.
Sono passati tanti anni da allora ma sulla sua tomba, che è stata trasformata in una specie di santuario, ci sono sempre fiori freschi.
Tanti che gli fanno visita, ancora oggi, appena entrano nel cimitero dove è sepolto, si inginocchiano e sempre sulle ginocchia compiono il tragitto che c’è dal cancello in ferro battuto alla sua tomba e poi lasciano messaggi con sopra scritto spesso una sola parola ‘proteggici’ o anche ‘aiutaci’.
 Nella pampa che Bairoletto corse per così tanti anni, si trovano tracce che lo ricordano. Ritratti inchiodati al fusto dei pochi alberi centenari che si ergono isolati in quel mare d’erba, foto fermate con un sasso  nei pressi di una fonte d’acqua pulita. Un cartello di legno indica la ‘Cueva de Bairoleto’, un luogo bello e suggestivo, fatto di rocce e di acqua,  
Nelida Argentina Zanon  ne canta la leggenda, l’incipit è quello classico delle ballate:  ‘este es la historia de un gaucho bueno…’.
I nomi di quelli che lo ammazzarono sono stati subito dimenticati.

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