lunedì 20 giugno 2011

IL POETA


‘FEDERICO.ILMAESTRO E I BANDERILLEROS’.




Federico Garcia Lorca fu fucilato a Granada la notte del 18 o quella del 19 agosto 1936.
Dicono che quando stava per essere fucilato , pianse  e si disperò a lungo e che i suoi assassini per disprezzo, prima gli spararono un colpo di fucile nell’ano, poi lo crivellarono di pallottole.
Assieme a lui, in un massacro spaventoso, furono ammazzati,almeno a dare retta a Ian Gibson, uno storico inglese molto documentato, almeno 25.000 persone, che poi vennero sepolte a migliaia in una gigantesca fossa comune nel Barranco de Viznar. Sulla strage di Granada, come sulle centinaia di altre che avvennero in quegli anni, calò poi il sepolcrale silenzio del franchismo prima e della Spagna ‘democratica’ poi. E tutto sembrò essere dimenticato.
Il 28 di gennaio del 2009, però , tutti i giornali spagnoli annunciavano che nella località granadina de Alfacar, era stata rinvenuta la fossa dove avevano frettolosamente sepolto, tanti anni prima, Federico Garcia Lorca .
E sottolineavano con sorpresa , che assieme al poeta della generazione del ’27 erano stati interrati due banderilleros anarchici : Francisco Galadì e Juan Arcollas e anche Dioscoro Galindo Gonzalez , un maestro  della scuola di Pauliana y Santiponce, un ‘pueblo’ della campagna andalusa,in cui gli analfabeti assommavano al 90% della popolazione.
La foto che ritrae il maestro, mostra un uomo che veste giacca nera, camicia bianca , porta  una cravatta, anche questa nera e non ha certo l’aria del maestro di scuola elementare. I lineamenti del suo viso sembrano piuttosto quelli del contadino ,ha infatti il  naso grosso, lineamenti marcati, quasi grossolani, orecchie a cavolfiore, come se avesse frequentato una palestra di boxe o di lotta libera e appare precocemente stempiato.
Ma perché ci si dovrebbe chiedere a questo punto fu ammazzato un maestro? O meglio Dioscoro Galindo Gonzalez era stato ammazzato perché era un militante anarchico o socialista , o magari per invidia o per uno di quei sordidi e non conoscibili motivi che sempre le repressioni indiscriminate, specie se promosse da chi comanda da sempre, portano con sé. Quando a molti appare sia venuto il momento di regolare una volta per tutte i conti con un vicino con cui da anni si litiga per una questione di confine o magari con un rivale in amore o , peggio ancora, con chi ha deciso di alzare la testa e si rifiuta di stare al posto che altri hanno scelto per lui.
Ma Dioscoro era stato certamente ammazzato per la semplice ragione che aveva la presunzione di insegnare agli analfabeti contadini andalusi a leggere e a scrivere. Mestiere pericoloso infatti quello del maestro di scuola, specialmente di una scuola di campagna, e soprattutto nella desolata campagna andalusa di quei tempi.
Dopo i militanti anarchici, i sindacalisti e gli esponenti socialisti, i maestri furono i più colpiti dalla repressione fascista e tutto questo indipendentemente dalle loro opinioni politiche.
Secondo la logica fascista, essi erano ‘oggettivamente’ pericolosi, perché insegnavano a leggere e a scrivere e  contribuivano  a far sì che i braccianti andalusi, da plebe ignorante e superstiziosa, diventassero classe sociale e prendessero così coscienza dei propri diritti e scoprissero che non era stato scritto da nessuna parte che le cose non dovessero mai cambiare.
Così, i ‘senoritos’, con l’aiuto delle truppe di Yague, come con il supporto dei mercenari del ‘tercio’, di maestri ne ammazzarono a mucchi , a centinaia in tutta quanta la Spagna.
Dioscoro fu ucciso : ‘por negar la existencia de dios’, come recita, senza ambiguità alcuna la sentenza che lo mandava a morire e che fu vergata postuma.
Lui credeva infatti nella missione pedagogica della scuola razionalista, cosa questa che lo aveva portato ad organizzare corsi  serali per i giornalieri che tornavano dalla campagna con le braccia ancora piene per la fatica del lavoro nei campi, a proporre le teorie evoluzioniste di Darwin e ad usare la ragione come strumento di conoscenza del mondo.
Quando lo portarono via, i suoi alunni, corsero affannati per chiedere che lui venisse risparmiato, dallo  scrittore falangista José Maria Peman che ha ancora oggi un monumento in una piazza di Cadice e che era stato incaricato di ‘depurare’ il corpo dei maestri da tutti coloro che lo inquinavano con il loro insegnamento sovversivo. Il maestro, come ricordano più di settanta anni dopo i pochi alunni ancora vivi, diventati oramai vecchi di ottanta  e passa anni, furono rassicurati che al loro insegnante non sarebbe stato fatto alcun male, anche se Peman sapeva benissimo che Dioscoro era stato fucilato già da dieci giorni.
E poi con un gesto di rivoltante cinismo, scrisse di suo pugno un comunicato che diceva che Dioscoro Galindo Gonzalez avava ottenuto la ‘separacion definitiva del servicio’. Fine di quel maestro zoppo e tanto pericoloso. 
Ma perché anche due  ‘banderilleros’ a tenere compagnia al poeta? Ci si potrebbe chiedere, visto che la corrida è entrata purtroppo a fare parte del folklore spagnolo.
Per il semplice motivo che i ‘banderilleros’  erano quasi tutti anarchici, e altra risposta, almeno in questo caso, pare non esistere.
In una novella Paco Ibanez, fa infatti gridare a un ‘banderillero’ la frase ‘Per il clero’, mentre pianta le punte acuminate dei suoi attrezzi nella schiena nera di quella povera bestia che di lì a poco sarebbe stata ammazzata nell’arena .
Mondo curioso quello della tauromachia. Infatti i toreri erano in maggioranza fascisti, malgrado l’esistenza non convenzionale che conducevano, o quantomeno di destra, sia pure in modo tiepido.
Vivevano la loro breve stagione che li avrebbe lasciati quasi sempre poveri in canna a masticare sordi rancori e a cercare di che vivere combattendo in arene sempre più piccole e sperdute , per borse ogni volta più esigue, dopo pochi anni vissuti tra alberghi e bordelli di lusso, circondati da sciantose, giornalisti adulatori , procuratori e da tutta quella fauna che sempre circonda chi è diventato ricco all’improvviso e tutti  questi, con intuito infallibile, sparivano un attimo, appena un attimo prima che la loro stella cominciasse a impallidire e  iniziassero a perdere quell’agilità che li portava a danzare in punta di piedi nella sabbia dell’arena .
Venivano in fondo abbandonati un po’ come succede ai calciatori al giorno d’oggi. Forse  essi erano fascisti perché venivano quasi tutti dai latifondi della Mancha, dell’Estremadura e dell’Andalusia e avevano vissuto sulle stesse terre dove cavalcavano alteri i ‘senoritos’ che a loro dovevano apparire simili a degli dei e che tendevano a scimmiottare, come quasi sempre fanno i poveri a cui è arrisa una improvvisa fortuna e fingono di dimenticare la  fame che li ha tormentati per anni e di non avere mai conosciuto l’odore della miseria.  
Ci fu tuttavia anche tra i toreri chi, come Manolin Bueno, si iscrisse al sindacato degli anarchici e si prestasse a distribuire i giornali della sovversione. Quando infatti partiva per una tournée che l’avrebbe portato in giro per la Spagna, sempre metteva nella borsa, assieme ai pesanti costumi con i ricami in filo d’argento, quei giornali dai titoli infuocati, sempre cercati con ansia febbrile dalla Guardia Civil.
Tra di loro, perché le cose sono spesso molto più complesse di quello che a prima vista possono sembrare, non furono pochi  quelli che morirono combattendo nelle milizie della Repubblica, come accadde al navarro Saturio Toron, capitano della milizia popolare che morì sul fronte di Somosierra, straziato da una bomba a frammentazione o Cayetano de la Torre ‘Moretano’ che fu ammazzato sulla carretera di Alcala de Henares o Ramon de la Cruz ,o  Ramon Torres, uno dei rari toreri nati a  Barcellona. Molti di più furono tra di loro quelli a cui fu dato il ‘paseo’ durante tutta la guerra e la rivoluzione e di cui si sono persi i nomi.
Del resto  che il mondo della tauromachia fosse importante ,è confermato anche dal  ruolo che le ‘plazas de toros’ rivestirono  durante tutta la guerra civile.
Infatti, quando le truppe di Franco entravano in una cittadina, spesso l’ultima difesa dei miliziani avveniva all’ombra dell’illusoria sicurezza che davano gli archi  delle tribune, che si trasformavano sempre in una trappola senza nessuna via d’uscita.
Nel territorio della Repubblica , le ‘plazas de toros’ divennero quasi sempre orti di guerra che contribuivano a sfamare l’esausta popolazione delle grandi città che erano rimaste in mano repubblicana e di corride, salvo casi rari, nel territorio tenuto dalla Repubblica, non se ne videro per tre anni interi.
Del resto, la corrida non aveva mai entusiasmato , ad eccezione dell’Andalusia, i militanti operai e contadini in modo particolare quelli anarchici e gli uomini e le donne che facevano parte  della CNT.
Nella Spagna che cadeva in mano all’esercito invece, le ‘plaza de toros’ diventavano prigioni, come gli stadi di calcio in Cile al tempo di Pinochet o luoghi di esecuzioni di massa, come successe nell’arena di Badajoz.
Tra il 14 e il 15 agosto del 1936, il tenente colonnello Yague prese, assieme alle sue truppe la città di Badajoz.
Furono subito rastrellati i quartieri operai, mentre gli uomini della Falange si dirigevano sui camion verso i ‘pueblos’ della ‘comarca’per portare in città i contadini che con i fucili da caccia, cercavano disperatamente di tenere testa, in battaglie tremendamente ineguali, alle truppe che erano insorte.
Quelli che non furono ammazzati durante i combattimenti, vennero  portati all’interno dell’arena di Badajoz , una città che allora contava circa  40.000 abitanti.
I primi tra di loro vennero fatti entrare a piccoli gruppi nell’arena alle sei del mattino e falciati dalle mitragliatrici  e dai fucili dei plotoni d’esecuzione, mentre il sergente Muley che si era posizionato sopra la porta da cui entrano i ‘picadores’, usava una baionetta come stocco e la piantava nel collo indifeso di un prigioniero scelto a caso, mentre la gente ‘ley y orden’ : ‘senoritos’, falangisti, i ‘terratenientes’, le signorine cristiane e devote dell’alta società e anche monache e frati, fra i quali padre Lomba che si erano sistemate sulle tribune, gridavano ‘olè’ e applaudiva quando veniva trafitto un ‘banderilleros’.
Durò tutta la notte, perché Yague aveva organizzato le cose per bene e si era premurato di far illuminare con fuochi la sabbia ormai inzuppata di sangue,ma alle prime ore del giorno ,il miliziano Juan Gallardo Bermejo, strappò la baionetta dalle mani del sergente e gli squarciò il petto.
Allora le truppe si ritirano  sui primi gradoni della ‘plaza de toros’. I prigionieri furono spinti in massa all’aperto e mitragliati mentre ancora sbattevano gli occhi per essersi trovati bruscamente esposti in pieno sole.
Erano circa 4000 e si salvarono appena  in due o tre. Il massacro continuò poi per giorni in plaza de Penacho, dove a mezzogiorno in punto, prima della messa elegante,  venivano ammazzati i contadini e gli operai che erano scampati alla prima mattanza.
A differenza dei toreri, i ‘banderilleros’ e anche i ‘picadores’ erano invece quasi tutti anarchici, vai a sapere il perché. Forse perché essi, pur rischiando la vita nell’arena, ricchi  non lo potevano diventare di certo e questo lo avevano sempre saputo. Guadagnavano poco e sapevano con chiarezza che,appena i loro piedi avessero perso un po’ di quella agilità che li faceva danzare leggeri a pochi centimetri dalle corna del toro lanciato in corsa, sarebbero dovuti tornare alle occupazioni di sempre.
Dei due ‘banderilleros’ che andarono a morire assieme al poeta,  si conoscono soltanto due foto. Una per ciascuno.  In una di queste , Antonio Galadì ha la faccia seria e concentrata e non potrebbe essere altrimenti, visto che si sta apprestando ad entrare nell’arena. Il ritratto lo mostra infatti già vestito con il pesante costume da ‘banderillero’, lo sguardo serio e compreso, mentre una donna dietro la sua spalla destra, si stira  e allunga il collo, cercando disperatamente di entrare nel riquadro che sarebbe stato spedito a qualche giornale di provincia. Joaquin Arcollas, nell’unica fotografia che di lui si conosce, una foto formato tessera ha il viso lungo , gli orecchi a sventola e  i denti sporgenti  e grandi, da castoro
Il nipote di  di Galadì dice che essi erano conosciuti per il loro impegno politico e che anzi facevano parte di un gruppo di ‘uomini d’azione’, di quei gruppi  della CNT e della FAI che quasi disarmati ressero da soli il primo scontro contro i militari che si erano ‘alzati’. E tutti e due erano anche riusciti a fuggire da Albacin, che era ormai diventata un’enorme trappola.
Ma Francisco Galadì aveva un figlio  e temeva per la sua esistenza, e decise di tornare indietro,  per portarlo via con sé, anche se questo voleva dire andare incontro a una morte quasi certa. E Arcollas non se la sentì di lasciarlo andare da solo. Del resto erano entrati sempre assieme nell’arena , erano amici inseparabili e tanto valeva giocarsela ancora, come del resto avevano fatto per tante altre volte.
Li arrestarono, probabilmente venduti e li fucilarono assieme a Federico, con il quale certamente non avevano mai parlato prima e che magari cercarono in qualche modo di consolare.
Rafael Alberti e tanti altri poeti che scrissero il ‘Romancero della Resistencia Espanola’ , con le loro opere e i loro riconoscimenti hanno dato e continuano a dare vita a Federico Garcia Lorca.
Sembrava che invece il maestro e i due ‘banderilleros’ fossero evaporati nel nulla, fino al 2008, quando, in seguito alla progressiva riapertura delle  fosse comuni che sta avvenendo in tutta la Spagna, si cominciò a parlare di loro e si pensò di seppellirli  in modo degno .E come sempre accade sempre in questi casi, esiste  chi è contrario anche a questa semplice forma di pietas,
La nipote del poeta, Laura Garcia Lorca infatti, si dichiarò contraria alla riapertura della fossa e con lei tanti altri, adducendo le solite stucchevoli parole che, da quando si riaprono in Spagna le fosse comuni, sempre vengono dette. ‘Riaprire le fosse significa rinnovare il dolore dei parenti’, ‘Ormai la Spagna non è più quella del ‘36’, ‘Che il passato è appunto tale’ e via dicendo, e tutto questo prima ancora che i cadaveri vengano riportati alla luce.
Per fortuna la ‘Asociacion Nacional de Picadores y Banderilleros Espanoles’ ha sollecitato la Junta de Aldalucia siano affinché  i resti dei due ‘banderilleros’ anarchici siano sepolti degnamente . E in una lettera inviata a Juan Gallo, segretario della memoria storica andalusa,  Fernado Gallo segretario generale del collettivo taurino ha scritto che i corpi di Galadì e Arcollas :‘sean recuperados y enterrados dignamente’  e non c’è certo bisogno di traduzione.
Dove fu fucilato Federico è stato realizzato un parco con tanti ulivi. L’albero che tanto amava il poeta.

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