lunedì 20 giugno 2011

UN BRAVO VIAGGIATORE NON LASCIA TRACCIA


‘IL GAUCHO ALZADO’


‘Un bravo viaggiatore non lascia traccia’
( Lao Tzu)


‘Lavoratori di tutto il mondo unitevi e smettete di lavorare’
(Jim Haynes 1978).


Lo sorpresero nel sonno, così almeno vuole la leggenda, ‘altrimenti non sarebbero mai riusciti a prenderlo’, e lo crivellarono di pallottole. Una foto lo ritrae a dorso nudo, la barba lunga, con il corpo avvoltolato in una coperta che lo avvolge quasi fosse un sudario, steso su un letto stretto e lungo.
Come sempre succede in questi casi, sugli avvenimenti che portarono alla sua morte esistono diverse versioni. Del resto è questo il destino degli eroi popolari, in quanto chi li ha conosciuti non si può certo contentare della versione ufficiale. I rapporti della polizia insistono sul fatto che i poliziotti che lo uccisero furono costretti a sparare dopo che questi aveva cercato di estrarre la rivoltella. Per alcuni Bairoletto non cercò nemmeno di difendersi perché, nella stanza dove stava riposando c’era una bambina che sarebbe stata certamente uccisa dal fuoco incrociato e , per salvarla, lui avrebbe tentato una fuga disperata.
Questa storia potrebbe portare il più scontato tra i titoli. Un titolo del tipo : ‘Bairoletto, l’ultimo gaucho’ o magari ‘Il gaucho ribelle’, o anche ‘L’ultimo bandito della pampa’, o magari ‘Il Robin Hood della pampa’ . Titoli questi che stanno tra il sensazionalistico e lo scontato, tentativi di ossificare in una rassicurante parola una realtà tanto scomoda. Perché l’immagine del gaucho che è stata tramandata dai media è quella dell’innocuo nostalgico, buono in fondo soltanto a rimpiangere i bei tempi andati, quando la ‘la pampa’ era grande e sconfinata e le mucche pascolavano libere. Storie che vogliono i ‘gauchos’ in fondo capaci soltanto  di raccontare attorno al fuoco le leggende che la nebbia porta con sé, grandi consumatori di carne arrostita sulla brace, inveterati bevitori di ‘mate’ , cavalieri abilissimi nella doma , cantori di storie strazianti di amori traditi, di innocenti incarcerati e di madri che diventano bianche nei capelli a furia di aspettare che il figlio torni da carcere  ormai mondo  e redento.
E anche l’inizio di questa storia sembra tratto di peso da un film di Renoir. Tutto infatti comincia quando quel ragazzo che portava sempre un foulard bianco di seta al collo e  l’espressione di chi è cresciuto per strada si innamora di una prostituta che è anche     desiderata da  Elias Farache, un poliziotto di Mendoza. Bairoleto gli spara allora nel collo, quando esce dal carcere è già una leggenda. Come lo saranno , più o meno nello stesso periodo Mate Cosido, ‘ il bandito dei poveri’, colui che rubava soltanto alle multinazionali americane , ‘El Tigre de Quenon’, ‘El Gaucho Lega’ , El Gauchito Antonio ‘Curuzù’. Nomi e gesta che sono state cantate nell’epica popolare dell’Argentina intera.
Perché Bairoleto o Vairoleto , nato da due genitori italiani nell’Argentina della fine dell’ ‘800, anche se questo assolutamente non è importante, fu in qualche modo il più riuscito frutto o almeno quello più conosciuto di quell’ ‘Anarquismo trashumante’ composto da ‘crotos’, ‘linyera’, ribelli, ‘atracadores’, ragazzi in fuga da tutto e tutti, che fu tanto attivo nell’Argentina , durante gli anni che vanno all’incirca dal 1910 al 1940.
Erano fuggitivi dalla famiglia o dal sistema salariale, o magari da tutte e due le cose assieme. Peones che rifiutavano di sfiancarsi per poche pesetas in turni di lavoro di sedici ore al giorno e che avevano sempre negli occhi quello che era successo ai loro fratelli nel 1921 , quando a migliaia  erano stati massacrati nelle terre australi dal colonnello Varela.
C’era chi vendeva prodotti artigianali e bigiotteria povera . Chi si inventava mercante di cianfrusaglie e di stringhe dalle  scarpe. Altri per campare si compravano un carretto e un cavallo e realizzavano così un riciclaggio tanto primitivo quanto efficace. Per mangiare cacciavano nutrie e volpi.
Molti  tra di loro erano militanti con la borsa piena di libri, di volantini e di stropicciati periodici. Avevano sempre vecchi numeri de ‘La Protesta’ o della ‘Antorcha’ nella sacca e arrivavano fin nel più riposto angolo di quell’immenso paese. Si installavano come maestri nel pueblo più miserabile e isolato, alfabetizzavano gli abitanti di quei villaggi persi nel nulla , che non avevano neanche diritto a un microscopico puntino sulla carta geografica e fondavano biblioteche popolari, sindacati agrari, gruppi teatrali , di letteratura e di studio.
Facevano conoscere filosofi come Malatesta, Kropoktin, Bakunin, Faure, Fabbri, Reclus, José Ingenieros, Gorkin, Tolstoi, Stirner, Nietsche , Schopenauer o gli scritti del dimenticato Panait Istrati.
Erano i re della linea ferroviaria, viaggiavano infatti sempre sui tetti dei carri merci o al massimo nei carri bestiame, erano l’elite stracciona degli spazi sconfinati. Portatori di una controcultura itinerante, libera,fluida,insensibile al potere,al padrone e alla polizia .
Tra di loro molti erano i ‘lingera’, le  golondrinas(le rondini) che con una sacca in spalla, arrivavano a primavera , viaggiando sui vapori di terza classe, che portavano quella forza lavoro indispensabile allo sviluppo mondiale del capitalismo. Parlavano il criollo-genovese , si spostavano da Tucuman a Santa Fe, in una specie di instancabile pendolo che li faceva cantare : ‘Da Tucumana a Salto, da Salto a Santa Fé, il povero lingera viaggia sempre  sempre a piè , perché, perché non guadagna’.
Alcuni  tra di loro avevano conosciuto Gregor Goz, che aveva organizzato il primo congresso dei vagabondi a Stoccarda in cui si proclamò la : ‘Huelga general de toda la vita’ e Jost Pompold che sosteneva convinto che ‘il giorno in cui tutte le donne del mondo si daranno alla prostituzione, comincerà il vero clima rivoluzionario’.
In Germania  i soli ‘Wanderee Wandervoleg’ ‘ i pappagali erranti’ erano almeno 15.000  , più di 50.000 i ‘vagabondi consapevoli’ quelli di tutto lo stato. Vivevano in capanne sugli alberi, nascoste nel più profondo dei boschi,  un quarto di essi  morirono nelle trincee, durante la prima guerra mondiale, Erano tedeschi, ma anche svizzeri, svedesi, e olandesi, che rifiutavano lo stato che letteralmente non capivano cosa potesse significare per un uomo una frontiera. Anarco-individualisti che vivevano di raccolti stagionali e di lavori saltuari. Avevano anche una lingua propria di più di  2000 parole . Si chiamavano orgogliosamente monarchi e  si scontravano con la polizia. Andavano verso le spiagge del  Baltico, tornavano nella Foresta Nera o puntavano verso le enormi foreste che vanno ad oriente, quelle nei quali un uomo può arrivare fino agli Urali, senza mai incontrare una radura. Tra di loro Maxim Gorki, Eric Musham che fondò i ‘Vagabondi’, inventò il cabaret, fu pittore , poeta, delegato della Repubblica dei Consigli della Bassa Baviera, prima di venire ammazzato dai nazisti.
Dalle loro fila era uscito Kurt Wilckens  di ricca famiglia tedesca, che , prima di ammazzare Valera era stato tante cose. Emigrato  negli Stati Uniti,aveva lavorato  in una fabbrica di pesce in scatola e infine nelle miniere di carbone. Partecipato agli scioperi e alle assemblee degli IWW, fino ad essere espulso verso l’Argentina.  Roscigna  che era stato assieme a loro, sul periodico ‘Anarchia’, aveva scritto che la vita dei ‘crotos’ era stata per lui un  ‘Viaggio di coscienza attraverso la linea’
Non avevano nulla dei bohemiens, era la loro la ribellione all’eterno moto del capitale.
Era infatti  il capitale internazionale con il suo movimento incessante che produceva l’ ‘andar per via’. Erano quelli che la seconda rivoluzione industriale aveva inteso lasciare dietro di sé. Contadini e piccoli allevatori rovinati dai crediti, operai immigrati che la meccanizzazione e la disciplina della grande fabbrica espelleva dalle città dove si erano illusi di trovare il benessere . Capaci di organizzare sindacati e scioperi, tanto che la ‘Antorcha’, il  primo maggio del 1925 aveva  un titolo: ‘Lingera Fratelli nostri’. In molti vivevano in gruppi che si chiamavano gli ‘Iconoclasti’,  gli ‘Intellettuali’, gli ‘ Increduli’, o gli  ‘Assemblatori di idee’.
Fondavano riviste come il ‘Manifiesto’, ‘Alba Libertaria’, ‘La Rebélion’, ‘Pampa Libre’ e ‘Los Atorrantes’, ‘Los Desheredados’,  ‘La Libre Iniciativa’, ‘El Descamisado’o ‘Germinal’ che arrivò a tirare 2000 copie. Fogli itineranti,  come le redazioni che li componevano.
Una gallina , delle uova lasciate incustodite erano preda facile per loro . Portavano soprannomi come ‘El Ladrone’, ‘Fachabruta’, ‘Boquita’  Erano anche pistoleros, tenutari di bische clandestine e contrabbandieri. C’era infatti di tutto tra di loro,  anche delinquenti, che andavano da semplici rubagalline a  rapinatori professionali di banche, temutissimi questi dalla polizia, che spesso partecipavano ai picnic di Islas Maciel, dove molti portavano le armi per fare pratica di tiro.
Tra di loro Emilio Uriondo che poi andò con Severino e gli altri ‘espropriatori’  
 o Finamori , strano tipo, almeno per la morale corrente, che rifiutò sempre qualsiasi documento  e che rimaneva non più di un paio di mesi in un posto, il tempo del raccolto, per poi riprendere a viaggiare.
Fu costituita anche  una comune di dieci persone, di cui si conosce il nome : ‘Comuna Labor de Bueye’. Tra di loro a volte si formavano coppie solide e durature , e tutti  conoscevano mille mestieri, sapevano essere infatti, a seconda della bisogna , macellai, meccanici, autisti, braccianti , operai , sarti o fabbri.
Per Riera Diez, quella dei ‘lingeras’ era ‘un apprendistato per la militanza sociale’, perché la vita sulla strada ti portava nel più profondo delle cose, ti obbligava a contare sulle tue sole forze, ti insegnava come sopravvivere alla polizia .Imparavi i mille lavori indispensabili a sopravvivere, conoscevi una cultura che era allo stesso tempo quella materiale del lavoro e quella sovversiva della parola scritta . Una cultura comunque sempre alternativa a quella ufficiale che si sostanziava nella figura del probo lavoratore, impermeabili alle perniciose idee che arrivavano di là dall’Atlantico.
Non a caso dai ‘trashumantes’ uscirono tanti dei più determinati e preparati sindacalisti della FORA.
Erano tra i 200.000 e i 400.000  i ‘crotos’,  un numero enorme per l’Argentina di quei tempi, tanto che si poteva tranquillamente sostenere che non ci fosse  una famiglia  allora che non avesse un linyera in casa.
Tipi pericolosi per il sistema, visto che si chiamavano fuori dal capitale e dallo stato, tipi da reprimere per evitare la saldatura tra  chi era capace di ribellarsi in modo autonomo e quel proletariato di fabbrica che stava abbandonando la campagna e giunto in città, doveva diventare disciplinata manodopera per le grandi fabbriche taylorizzate che il capitale straniero stava edificando in tutta quanta l’Argentina.
Così lo stato argentino cominciò al principio degli anni ‘20 la sistematica e spietata repressione di quei vagabondi tanto pericolosi. Successe in Argentina  in fondo quello che venti anni prima  già era successo negli Stati Uniti. Quando Edgard Hoover, iniziò la repressione dei ‘wooblies’perché essi attentavano alla sacra anima degli Stati Uniti d’America.  I ‘wooblies’ furono così uccisi a diecine come avvenne a Mckees Rock , incarcerati a migliaia o deportati nel deserto dell’Arizona. I loro dirigenti linciati come successe a Frank Little.
Una cosa analoga successe in Argentina, a partire dal 1922 con la presidenza di Marcelo Teodoro Alvear e soprattutto con il colpo di stato di Uriburu che, inaugurò a partire dal 1930 la ‘Decada Infame’. Quando a decine, specialmente i militanti dei sindacati dei contadini ‘sparirono’ per sempre, persi nel nulla .
Il mondo dei ‘crotos’ fu così ‘bonificato e di quel mondo  in qualche modo la morte di Bairoletto  sancì la fine..
Quando fu ammazzato era il 14 settembre del 1941 e l’ultimo ‘gaucho alzado’ non aveva ancora compiuto quarantasei anni. Cadde in via general Alvear a Mendoza , già sposato e padre di due figlie. Era ormai fuori da tutto da ormai una decina di anni e si era illuso, del resto a quei tempi quarantasei anni erano una bella età , di essere stato dimenticato.
Per il suo funerale, arrivarono a miglia da tutta quanta la pampa per accompagnarlo alla tomba in quello che fu un omaggio collettivo che soltanto spetta agli eroi popolari. Nelle fila , mentre lo accompagnavano al cimitero,si commentavano le sue avventure, di quando aveva assaltato lo stabilimento de ‘La Criolla’, dei tanti torti che aveva raddrizzato. Di come avesse ucciso un poliziotto che aveva bruciato gli occhi a un suo cavallo. E tutti erano convinti che Bairoletto si fosse ucciso e non avesse voluto fuggire perché se si fosse deciso a scappare, non l’avrebbero mai ripreso perché i suoi cavalli correvano più veloci del vento.
Fu seppellito in una tomba a Mendoza,  che venne immediatamente ricoperta di fiori
La foto che è stata messa in un ovale al centro della croce in granito nero, lo mostra giovane e in divisa da cadetto, un rosario è stato avvolto sul braccio trasversale.
Sono passati tanti anni da allora ma sulla sua tomba, che è stata trasformata in una specie di santuario, ci sono sempre fiori freschi.
Tanti che gli fanno visita, ancora oggi, appena entrano nel cimitero dove è sepolto, si inginocchiano e sempre sulle ginocchia compiono il tragitto che c’è dal cancello in ferro battuto alla sua tomba e poi lasciano messaggi con sopra scritto spesso una sola parola ‘proteggici’ o anche ‘aiutaci’.
 Nella pampa che Bairoletto corse per così tanti anni, si trovano tracce che lo ricordano. Ritratti inchiodati al fusto dei pochi alberi centenari che si ergono isolati in quel mare d’erba, foto fermate con un sasso  nei pressi di una fonte d’acqua pulita. Un cartello di legno indica la ‘Cueva de Bairoleto’, un luogo bello e suggestivo, fatto di rocce e di acqua,  
Nelida Argentina Zanon  ne canta la leggenda, l’incipit è quello classico delle ballate:  ‘este es la historia de un gaucho bueno…’.
I nomi di quelli che lo ammazzarono sono stati subito dimenticati.

IL POETA


‘FEDERICO.ILMAESTRO E I BANDERILLEROS’.




Federico Garcia Lorca fu fucilato a Granada la notte del 18 o quella del 19 agosto 1936.
Dicono che quando stava per essere fucilato , pianse  e si disperò a lungo e che i suoi assassini per disprezzo, prima gli spararono un colpo di fucile nell’ano, poi lo crivellarono di pallottole.
Assieme a lui, in un massacro spaventoso, furono ammazzati,almeno a dare retta a Ian Gibson, uno storico inglese molto documentato, almeno 25.000 persone, che poi vennero sepolte a migliaia in una gigantesca fossa comune nel Barranco de Viznar. Sulla strage di Granada, come sulle centinaia di altre che avvennero in quegli anni, calò poi il sepolcrale silenzio del franchismo prima e della Spagna ‘democratica’ poi. E tutto sembrò essere dimenticato.
Il 28 di gennaio del 2009, però , tutti i giornali spagnoli annunciavano che nella località granadina de Alfacar, era stata rinvenuta la fossa dove avevano frettolosamente sepolto, tanti anni prima, Federico Garcia Lorca .
E sottolineavano con sorpresa , che assieme al poeta della generazione del ’27 erano stati interrati due banderilleros anarchici : Francisco Galadì e Juan Arcollas e anche Dioscoro Galindo Gonzalez , un maestro  della scuola di Pauliana y Santiponce, un ‘pueblo’ della campagna andalusa,in cui gli analfabeti assommavano al 90% della popolazione.
La foto che ritrae il maestro, mostra un uomo che veste giacca nera, camicia bianca , porta  una cravatta, anche questa nera e non ha certo l’aria del maestro di scuola elementare. I lineamenti del suo viso sembrano piuttosto quelli del contadino ,ha infatti il  naso grosso, lineamenti marcati, quasi grossolani, orecchie a cavolfiore, come se avesse frequentato una palestra di boxe o di lotta libera e appare precocemente stempiato.
Ma perché ci si dovrebbe chiedere a questo punto fu ammazzato un maestro? O meglio Dioscoro Galindo Gonzalez era stato ammazzato perché era un militante anarchico o socialista , o magari per invidia o per uno di quei sordidi e non conoscibili motivi che sempre le repressioni indiscriminate, specie se promosse da chi comanda da sempre, portano con sé. Quando a molti appare sia venuto il momento di regolare una volta per tutte i conti con un vicino con cui da anni si litiga per una questione di confine o magari con un rivale in amore o , peggio ancora, con chi ha deciso di alzare la testa e si rifiuta di stare al posto che altri hanno scelto per lui.
Ma Dioscoro era stato certamente ammazzato per la semplice ragione che aveva la presunzione di insegnare agli analfabeti contadini andalusi a leggere e a scrivere. Mestiere pericoloso infatti quello del maestro di scuola, specialmente di una scuola di campagna, e soprattutto nella desolata campagna andalusa di quei tempi.
Dopo i militanti anarchici, i sindacalisti e gli esponenti socialisti, i maestri furono i più colpiti dalla repressione fascista e tutto questo indipendentemente dalle loro opinioni politiche.
Secondo la logica fascista, essi erano ‘oggettivamente’ pericolosi, perché insegnavano a leggere e a scrivere e  contribuivano  a far sì che i braccianti andalusi, da plebe ignorante e superstiziosa, diventassero classe sociale e prendessero così coscienza dei propri diritti e scoprissero che non era stato scritto da nessuna parte che le cose non dovessero mai cambiare.
Così, i ‘senoritos’, con l’aiuto delle truppe di Yague, come con il supporto dei mercenari del ‘tercio’, di maestri ne ammazzarono a mucchi , a centinaia in tutta quanta la Spagna.
Dioscoro fu ucciso : ‘por negar la existencia de dios’, come recita, senza ambiguità alcuna la sentenza che lo mandava a morire e che fu vergata postuma.
Lui credeva infatti nella missione pedagogica della scuola razionalista, cosa questa che lo aveva portato ad organizzare corsi  serali per i giornalieri che tornavano dalla campagna con le braccia ancora piene per la fatica del lavoro nei campi, a proporre le teorie evoluzioniste di Darwin e ad usare la ragione come strumento di conoscenza del mondo.
Quando lo portarono via, i suoi alunni, corsero affannati per chiedere che lui venisse risparmiato, dallo  scrittore falangista José Maria Peman che ha ancora oggi un monumento in una piazza di Cadice e che era stato incaricato di ‘depurare’ il corpo dei maestri da tutti coloro che lo inquinavano con il loro insegnamento sovversivo. Il maestro, come ricordano più di settanta anni dopo i pochi alunni ancora vivi, diventati oramai vecchi di ottanta  e passa anni, furono rassicurati che al loro insegnante non sarebbe stato fatto alcun male, anche se Peman sapeva benissimo che Dioscoro era stato fucilato già da dieci giorni.
E poi con un gesto di rivoltante cinismo, scrisse di suo pugno un comunicato che diceva che Dioscoro Galindo Gonzalez avava ottenuto la ‘separacion definitiva del servicio’. Fine di quel maestro zoppo e tanto pericoloso. 
Ma perché anche due  ‘banderilleros’ a tenere compagnia al poeta? Ci si potrebbe chiedere, visto che la corrida è entrata purtroppo a fare parte del folklore spagnolo.
Per il semplice motivo che i ‘banderilleros’  erano quasi tutti anarchici, e altra risposta, almeno in questo caso, pare non esistere.
In una novella Paco Ibanez, fa infatti gridare a un ‘banderillero’ la frase ‘Per il clero’, mentre pianta le punte acuminate dei suoi attrezzi nella schiena nera di quella povera bestia che di lì a poco sarebbe stata ammazzata nell’arena .
Mondo curioso quello della tauromachia. Infatti i toreri erano in maggioranza fascisti, malgrado l’esistenza non convenzionale che conducevano, o quantomeno di destra, sia pure in modo tiepido.
Vivevano la loro breve stagione che li avrebbe lasciati quasi sempre poveri in canna a masticare sordi rancori e a cercare di che vivere combattendo in arene sempre più piccole e sperdute , per borse ogni volta più esigue, dopo pochi anni vissuti tra alberghi e bordelli di lusso, circondati da sciantose, giornalisti adulatori , procuratori e da tutta quella fauna che sempre circonda chi è diventato ricco all’improvviso e tutti  questi, con intuito infallibile, sparivano un attimo, appena un attimo prima che la loro stella cominciasse a impallidire e  iniziassero a perdere quell’agilità che li portava a danzare in punta di piedi nella sabbia dell’arena .
Venivano in fondo abbandonati un po’ come succede ai calciatori al giorno d’oggi. Forse  essi erano fascisti perché venivano quasi tutti dai latifondi della Mancha, dell’Estremadura e dell’Andalusia e avevano vissuto sulle stesse terre dove cavalcavano alteri i ‘senoritos’ che a loro dovevano apparire simili a degli dei e che tendevano a scimmiottare, come quasi sempre fanno i poveri a cui è arrisa una improvvisa fortuna e fingono di dimenticare la  fame che li ha tormentati per anni e di non avere mai conosciuto l’odore della miseria.  
Ci fu tuttavia anche tra i toreri chi, come Manolin Bueno, si iscrisse al sindacato degli anarchici e si prestasse a distribuire i giornali della sovversione. Quando infatti partiva per una tournée che l’avrebbe portato in giro per la Spagna, sempre metteva nella borsa, assieme ai pesanti costumi con i ricami in filo d’argento, quei giornali dai titoli infuocati, sempre cercati con ansia febbrile dalla Guardia Civil.
Tra di loro, perché le cose sono spesso molto più complesse di quello che a prima vista possono sembrare, non furono pochi  quelli che morirono combattendo nelle milizie della Repubblica, come accadde al navarro Saturio Toron, capitano della milizia popolare che morì sul fronte di Somosierra, straziato da una bomba a frammentazione o Cayetano de la Torre ‘Moretano’ che fu ammazzato sulla carretera di Alcala de Henares o Ramon de la Cruz ,o  Ramon Torres, uno dei rari toreri nati a  Barcellona. Molti di più furono tra di loro quelli a cui fu dato il ‘paseo’ durante tutta la guerra e la rivoluzione e di cui si sono persi i nomi.
Del resto  che il mondo della tauromachia fosse importante ,è confermato anche dal  ruolo che le ‘plazas de toros’ rivestirono  durante tutta la guerra civile.
Infatti, quando le truppe di Franco entravano in una cittadina, spesso l’ultima difesa dei miliziani avveniva all’ombra dell’illusoria sicurezza che davano gli archi  delle tribune, che si trasformavano sempre in una trappola senza nessuna via d’uscita.
Nel territorio della Repubblica , le ‘plazas de toros’ divennero quasi sempre orti di guerra che contribuivano a sfamare l’esausta popolazione delle grandi città che erano rimaste in mano repubblicana e di corride, salvo casi rari, nel territorio tenuto dalla Repubblica, non se ne videro per tre anni interi.
Del resto, la corrida non aveva mai entusiasmato , ad eccezione dell’Andalusia, i militanti operai e contadini in modo particolare quelli anarchici e gli uomini e le donne che facevano parte  della CNT.
Nella Spagna che cadeva in mano all’esercito invece, le ‘plaza de toros’ diventavano prigioni, come gli stadi di calcio in Cile al tempo di Pinochet o luoghi di esecuzioni di massa, come successe nell’arena di Badajoz.
Tra il 14 e il 15 agosto del 1936, il tenente colonnello Yague prese, assieme alle sue truppe la città di Badajoz.
Furono subito rastrellati i quartieri operai, mentre gli uomini della Falange si dirigevano sui camion verso i ‘pueblos’ della ‘comarca’per portare in città i contadini che con i fucili da caccia, cercavano disperatamente di tenere testa, in battaglie tremendamente ineguali, alle truppe che erano insorte.
Quelli che non furono ammazzati durante i combattimenti, vennero  portati all’interno dell’arena di Badajoz , una città che allora contava circa  40.000 abitanti.
I primi tra di loro vennero fatti entrare a piccoli gruppi nell’arena alle sei del mattino e falciati dalle mitragliatrici  e dai fucili dei plotoni d’esecuzione, mentre il sergente Muley che si era posizionato sopra la porta da cui entrano i ‘picadores’, usava una baionetta come stocco e la piantava nel collo indifeso di un prigioniero scelto a caso, mentre la gente ‘ley y orden’ : ‘senoritos’, falangisti, i ‘terratenientes’, le signorine cristiane e devote dell’alta società e anche monache e frati, fra i quali padre Lomba che si erano sistemate sulle tribune, gridavano ‘olè’ e applaudiva quando veniva trafitto un ‘banderilleros’.
Durò tutta la notte, perché Yague aveva organizzato le cose per bene e si era premurato di far illuminare con fuochi la sabbia ormai inzuppata di sangue,ma alle prime ore del giorno ,il miliziano Juan Gallardo Bermejo, strappò la baionetta dalle mani del sergente e gli squarciò il petto.
Allora le truppe si ritirano  sui primi gradoni della ‘plaza de toros’. I prigionieri furono spinti in massa all’aperto e mitragliati mentre ancora sbattevano gli occhi per essersi trovati bruscamente esposti in pieno sole.
Erano circa 4000 e si salvarono appena  in due o tre. Il massacro continuò poi per giorni in plaza de Penacho, dove a mezzogiorno in punto, prima della messa elegante,  venivano ammazzati i contadini e gli operai che erano scampati alla prima mattanza.
A differenza dei toreri, i ‘banderilleros’ e anche i ‘picadores’ erano invece quasi tutti anarchici, vai a sapere il perché. Forse perché essi, pur rischiando la vita nell’arena, ricchi  non lo potevano diventare di certo e questo lo avevano sempre saputo. Guadagnavano poco e sapevano con chiarezza che,appena i loro piedi avessero perso un po’ di quella agilità che li faceva danzare leggeri a pochi centimetri dalle corna del toro lanciato in corsa, sarebbero dovuti tornare alle occupazioni di sempre.
Dei due ‘banderilleros’ che andarono a morire assieme al poeta,  si conoscono soltanto due foto. Una per ciascuno.  In una di queste , Antonio Galadì ha la faccia seria e concentrata e non potrebbe essere altrimenti, visto che si sta apprestando ad entrare nell’arena. Il ritratto lo mostra infatti già vestito con il pesante costume da ‘banderillero’, lo sguardo serio e compreso, mentre una donna dietro la sua spalla destra, si stira  e allunga il collo, cercando disperatamente di entrare nel riquadro che sarebbe stato spedito a qualche giornale di provincia. Joaquin Arcollas, nell’unica fotografia che di lui si conosce, una foto formato tessera ha il viso lungo , gli orecchi a sventola e  i denti sporgenti  e grandi, da castoro
Il nipote di  di Galadì dice che essi erano conosciuti per il loro impegno politico e che anzi facevano parte di un gruppo di ‘uomini d’azione’, di quei gruppi  della CNT e della FAI che quasi disarmati ressero da soli il primo scontro contro i militari che si erano ‘alzati’. E tutti e due erano anche riusciti a fuggire da Albacin, che era ormai diventata un’enorme trappola.
Ma Francisco Galadì aveva un figlio  e temeva per la sua esistenza, e decise di tornare indietro,  per portarlo via con sé, anche se questo voleva dire andare incontro a una morte quasi certa. E Arcollas non se la sentì di lasciarlo andare da solo. Del resto erano entrati sempre assieme nell’arena , erano amici inseparabili e tanto valeva giocarsela ancora, come del resto avevano fatto per tante altre volte.
Li arrestarono, probabilmente venduti e li fucilarono assieme a Federico, con il quale certamente non avevano mai parlato prima e che magari cercarono in qualche modo di consolare.
Rafael Alberti e tanti altri poeti che scrissero il ‘Romancero della Resistencia Espanola’ , con le loro opere e i loro riconoscimenti hanno dato e continuano a dare vita a Federico Garcia Lorca.
Sembrava che invece il maestro e i due ‘banderilleros’ fossero evaporati nel nulla, fino al 2008, quando, in seguito alla progressiva riapertura delle  fosse comuni che sta avvenendo in tutta la Spagna, si cominciò a parlare di loro e si pensò di seppellirli  in modo degno .E come sempre accade sempre in questi casi, esiste  chi è contrario anche a questa semplice forma di pietas,
La nipote del poeta, Laura Garcia Lorca infatti, si dichiarò contraria alla riapertura della fossa e con lei tanti altri, adducendo le solite stucchevoli parole che, da quando si riaprono in Spagna le fosse comuni, sempre vengono dette. ‘Riaprire le fosse significa rinnovare il dolore dei parenti’, ‘Ormai la Spagna non è più quella del ‘36’, ‘Che il passato è appunto tale’ e via dicendo, e tutto questo prima ancora che i cadaveri vengano riportati alla luce.
Per fortuna la ‘Asociacion Nacional de Picadores y Banderilleros Espanoles’ ha sollecitato la Junta de Aldalucia siano affinché  i resti dei due ‘banderilleros’ anarchici siano sepolti degnamente . E in una lettera inviata a Juan Gallo, segretario della memoria storica andalusa,  Fernado Gallo segretario generale del collettivo taurino ha scritto che i corpi di Galadì e Arcollas :‘sean recuperados y enterrados dignamente’  e non c’è certo bisogno di traduzione.
Dove fu fucilato Federico è stato realizzato un parco con tanti ulivi. L’albero che tanto amava il poeta.

lunedì 2 maggio 2011

‘ LE BARRICATE DI BARCELLONA’


LA RIVOLUZIONE E’ UNA FESTA PERCHE ’ SI CONTRAPPONE AL GIORNO FERIALE DELL’UMILIAZIONE’.

( Milan Kundera)


‘UN GIORNO UN POPOLO SENZA DIO NE’ PADRONE ACCESE FUOCHI DI GIOIA CON I BIGLIETTI DI BANCA ’.

(Anonimo)

‘L’ATTESA ’


19 luglio 1936 : Barcellona

Quel giorno tutti gli uomini  e le donne che vivevano a Barcellona , percepivano che c’era nell’aria una tensione spasmodica che annunciava che qualcosa di ancora magmatico, dai contorni indefiniti,  ma comunque di totale e di definitivo sarebbe di lì a poco successo .
I fornai avevano infatti già esaurito il pane fin dalle prime ore del mattino. Nessuno, malgrado fosse una giornata calda e afosa con un’umidità che  inzuppava la camicia, era andato a fare il bagno sulla spiaggia di Barcelonete.
Nemmeno uno tra le centinaia di migliaia di operai che si erano sfiniti per anni alla ‘Fabra y Cootier’ o alla ‘Canadiense’, come nelle centinaia di fabbriche tessili che allora cingevano tutta quanta la città, si era presentato al proprio posto di lavoro. In giro non c’era nessuno.
Spariti i ragazzini che durante tutta quanta l’estate vivevano praticamente per strada. Chiuse le edicole , sprangati i chioschi ricoperti dalla lamiera traforata, che li rendono tanto simili a pagode indiane in miniatura. Serrati i lussuosi negozi dell’’Ensanche’ così come le bettole e i caffè del ‘Paralelo’ o le povere bottegucce del ‘Pueblo Seco’. Perfino i lustrascarpe con le loro scatole di legno erano scomparsi  da ‘Plaza Real’ come dalle ‘Ramblas’,inghiottiti dall’asfalto. Soltanto qualche rara massaia con la ‘sporta’ a losanghe nere e marroni colma di cibo, si affannava verso casa.
C’era nell’aria , al ‘Pueblo Nuevo’ come sopra i  microscopici orti  della ‘Torrassa’ e nei luridi vicoli del ‘Barrio Chino’ la stessa elettricità che la città intera aveva conosciuto durante la ‘Semana Tragica’ o in una delle tante insurrezioni che erano state il contrappunto della storia sociale di quella città anarchica e ribelle.
In compenso le strade dove avevano le sedi i sindacati del ‘Metallurgico’, dei ‘Trasporti’e delle ‘Costruzioni’, così come quelle su cui si aprivano gli ‘Ateneos’ che allora punteggiavano tutta quanta la città, nereggiavano di migliaia di persone.
Tutti sapevano che due giorni prima , alle cinque del pomeriggio in punto, il ‘Tercio’ si era sollevato a Melilla e il giorno dopo l’ ‘alzamiento’ si era esteso al Marocco e a Siviglia, da dove già arrivavano notizie che il sangue dei ‘ fratelli fucilati’ nel solo rione di ‘Triana’ era colato fin nel mezzo della città.
Arrivavano per telegrafo le notizie che l’esercito si era ‘alzato’ ancora una volta per ‘…salvare la Spagna dalla sovversione e dall’anarchia’ come aveva detto per radio un generale dall’aspetto pingue e la voce chioccia che si chiamava Francisco Franco. Gli operai, in piazza di Catalunya come sulle Ramblas, si strappavano letteralmente l’un l’altro di tra le mani le copie della ‘Soli’ ancora umide di inchiostro.
‘ A Siviglia i fascisti sparano sui nostri fratelli! A Cordoba i militari si sono sollevati. In Marocco si combatte nelle strade. Chi non compie il suo dovere di rivoluzionario è un traditore della causa del popolo.’ VIVA IL COMUNISMO LIBERTARIO. Gridavano i titoli di quel giornale che allora era per davvero ‘il sale e il pane per tutti gli operai di Barcellona’.
Ma tutti sapevano con certezza che la partita decisiva si sarebbe giocata lì, a Barcellona, in quello che era il cuore industriale di tutta la Spagna. Lì in quella città che deteneva tutti i record economici e dove lo scontro sociale era sempre stato frontale, senza mediazione né sfumatura alcuna. Lo sapevano gli uomini e le donne che chiedevano a gran voce ‘armi’ e che gli anarchici dei gruppi d’azione con il viso distrutto dalle veglie notturne e dalla tensione, cercavano inutilmente di calmare. E lo sapevano anche gli anarchici di Tarrasa come i minatori dell’Alto llobregat, che non a caso già dal giorno prima, erano affluiti numerosi in città.
In tutti i quartieri operai della città, i più conosciuti tra i militanti anarchici davano agli operai le ultime disposizioni.
Durruti ha incitato gli uomini dei Comitati di Difesa di San Martin, San Andres e del Pueblo Nuevo, Garcia Oliver è stato a Sans, Hospitalet e La Torrasa. Ascaso invece al sindacato delle Costruzioni che dà sulle Ramblas, con infinita calma continua a frenare l’impazienza dei tanti compagni che vorrebbero fin da subito attaccare le caserme.
Lo sapevano anche i generali che chi vinceva a Barcellona teneva nelle sue mani la Spagna intera.
La guarnigione della città contava infatti 16.000 uomini , che appartenevano ai migliori reparti delle ‘dependancias’ militari in cui era divisa allora tutta la Spagna e decine di mitragliatrici, con una scorta praticamente infinita di munizioni. Sufficienti per stroncare nel sangue qualsiasi tentativo di resistenza operaia. Gli ufficiali superiori che comandavano le truppe, erano tranquilli e fiduciosi. Tutti loro sapevano infatti con certezza che i rapporti di forza erano assolutamente dallo loro parte. Il piano di battaglia che è stato elaborato dal comandante della guarnigione, il generale llano de Encomienda è semplice. I soldati usciranno dalle loro caserme tra le quattro e le cinque del mattino. Tutte e cinque le colonne ‘punteranno’ sul centro della città, per occupare i palazzi del Telegrafo, la Telefonica, le poste e le stazioni radio. Poi toccherà al palazzo della Generalitat e a quello della Gobernacion .
A quel punto il più sarà fatto. Non rimarrà altro allora che marciare sui quartieri operai e stanare gli anarchici dalle loro tane. Del resto era stato tante volte ripetuto ai soldati che ai primi colpi di cannone, il ‘popolaccio’ se la sarebbe data a gambe per correre a nascondersi nei più riposti e oscuri anfratti . Erano assolutamente tutti convinti che sarebbe andata a finire in quel modo.
Contro i soldati  infatti Companys  e la ‘Generalitat’ che sicuramente temevano un’insurrezione fascista, ma ancora di più una rivoluzione operaia, potevano mettere in campo appena duemila ‘Guardie di Assalto’ e duecento ‘Mossos d’ Esquadra’. Poi c’era la Guardia Civil, all’incirca tremila uomini che nessuna sapeva con certezza da quale parte si sarebbe schierata.
E’ vero bisognava anche mettere nel conto i circa ventimila uomini che la CNT e la FAI avevano organizzato nei ‘Comitati di Difesa ’. Ma tutti sapevano che appena mille tra di loro erano armati, quasi sempre soltanto con una ‘Star’.
Visto che Escofet, il responsabile per l’Esquerra dell’ordine pubblico, che gli anarchici avevano contattato il giorno prima con disperata urgenza, si era rifiutato di distribuire armi agli operai.
Gli uomini della CNT e quelli della FAI avevano allora cominciato a cercarsi le armi dove potevano.
Juan Yague, segretario del sindacato dei trasporti marittimi, aveva assaltato con i suoi uomini i ‘quadrati ’ delle navi alla fonda nelle acque luride del Porto Vecchio, e si era così impadronito di circa centocinquanta fucili. Le armi ‘lunghe’ nelle mani del sindacato e degli uomini dei gruppi d’azione erano in pratica tutte lì. Armi che addirittura la polizia catalana aveva cercato di sequestrare.
Messa in questi termini, non ci poteva dunque essere partita.
Quando le staffette ansanti, portarono la notizia che i soldati stavano uscendo dalle caserme, gli anarchici cominciarono  a saccheggiare le armerie, vennero attaccati i ‘serenos’ e i vigili urbani,  le automobili sequestrate , cariche di operai che correvano ai loro posti di combattimento, cominciarono a scivolare veloci sui viali, clacsonando aritmicamente ‘CNT. CNT. FAI’.
Gli uomini del ‘Chimico’ e quelli del ‘Metallurgico’ tirarono fuori dalle soffitte e dalle cantine, le bombe a mano che avevano fabbricato nelle minuscole officine perse tra i ‘docks’ del porto e un gruppo scelto si diresse verso la caserma di ‘San Andres’ dove, con un’azione praticamente suicida, doveva far saltare con delle cariche di dinamite il portone d’ingresso e mettere così le mani sui trentamila fucili che tutti sapevano essere custoditi nell’arsenale.


‘LE SIRENE DELLE FABBRICHE  CHIAMANO ALLA LOTTA’.


Alle quattro e un quarto del mattino del 19 luglio del 1936 le truppe della caserma del ‘Bruc’ e di ‘Pedralbes’ erano usciti nelle strade dirigendosi per l’ ‘Avenida Quattordici  Aprile’ . Erano diretti verso  il centro della città. Gli operai appostati nelle immediate vicinanze della caserma avevano l’ordine di avvertire gli uomini dei ‘Comitati’ ma di non ostacolare i soldati fino a che questi non fossero stati lontani dalle caserme.
E’ da più di un anno infatti che una decina di uomini che fanno parte di gruppi anarchici che si chiamano ‘Indomables’, ‘Nervio’, ‘Nosotros’, ‘Tierra Libre’ e ‘Germen’, hanno elaborato un accurato piano di difesa della città.
Gli anarchici di Barcellona sono rimasti infatti impressionati dai massacri che hanno subito gli operai di Vienna nel 1934 così  come i minatori delle Asturie. Questi, sia pure ben armati e organizzati nel ‘Fronte Rosso’,  si sono barricati nell’immensa periferia operaia della capitale dell’Austria  o  hanno aspettato i soldati, trincerati nei distretti minerari. Che li hanno fatti a pezzi, contando sulla loro superiorità in armamenti e disciplina.
Il ‘Comité de Defensa Confederal’ aveva stabilito allora che bisognava tirare i soldati nella battaglia di strada, in cui gli uomini della CNT e della FAI sono maestri da sempre. Là dove il fronte è dappertutto e da nessuna parte, e ogni finestra, ogni tetto possono celare un’insidia mortale. Dove la superiorità in armamenti serve a poco. Su un terreno che gli uomini dei ‘Comitati’ che non a caso sono organizzati quartiere per quartiere, conoscono alla perfezione. Gli uomini e le donne dei comitati appartengono quasi tutti alla CNT, alla FAI, alla JJ.LL e alle Mujeres Libres . E quasi sempre sono legati tra di loro da vincoli di amicizia e di familiarità.
Arrivano quasi tutti da quei quartieri su cui non batte mai il sole, dove un proletariato industriale, costretto per decenni a un salario di pura sussistenza, è stato enormemente concentrato per fornire braccia allo sviluppo della città. Dove le ‘pistole’ di Koenig e i poliziotti di Martinez Anido hanno fatto strage. Non c’è infatti un singolo gruppo di case che non abbia la sua croce. In quei quartieri dove tutti si conoscono , dove addirittura vanno a vivere praticamente tutte le famiglie che arrivano in città da una singola provincia. Come hanno fatto gli uomini e alle donne che sono arrivati a Barcellona provenienti da Castellon o da Teruel, che si sono stabiliti in massa al ‘Pueblo Nuevo’ o i ‘murciani’ che si sono accalcati alla Torrassa.
In quei quartieri dove manca tutto e i bambini muoiono ancora di enterocoliti o di rachitismo . A Sants come al Pueblo Seco, al Clot come a San Andrés, a Hospitalet come a Badalona ,  gli anarchici hanno le loro roccaforti.  In quei quartieri dove la CNT ha sviluppato in anni e anni di paziente lavoro, una vera e propria organizzazione molecolare  fatta di ‘Ateneos’ , associazioni , sedi sindacali e gruppi giovanili. Dove il ricordo di Salvador Seguy , di Anselmo Lorenzo e di Francisco Ferrer è custodito con amore nella memoria collettiva degli abitanti. E’ in questi quartieri che la CNT e la FAI , hanno costituito fin dal 1931 dei ‘Comitati di Difesa’,  gli eredi dei ‘gruppi d’azione’ che sono riuscito per cinque anni, dal 1918 al 1923 a reggere i colpi più duri di uno scontro sociale che non ha avuto eguali nel resto del mondo. Ogni singolo uomo dei ‘Comitati’, sa dove c’è un capannone industriale, dove la casa di un compagno in cui trovare sicuro rifugio, dove i vicoli che mettono in comunicazione tra di loro le strade principali .
Ed è su questo terreno che vanno attirati i soldati. Le truppe vanno attaccate di continuo in quei ‘canyon’ urbani rappresentati dalle strade del ‘Barrio Chino’, attardati da barricate mentre procederanno praticamente a tentoni verso i loro obiettivi.
E’ per tutti questi motivi che nessuno deve ostacolare l’uscita della truppe dalle caserme. Presumibilmente ogni soldato avrà con sé non più di cinquanta proiettili. Munizioni che finiranno presto. Allora i soldati saranno incitati a rivoltarsi contro gli ufficiali o comunque a disertare. Il punto è proprio questo. Se i soldati demoralizzati , e scoraggiati cominceranno a disertare, il più sarà fatto.
Il piano dell’insurrezione operaia è stato studiato nei minimi particolari.  Addirittura sono stati costituiti dei nuclei che avranno il compito di tagliare le comunicazioni telefoniche e quelle telegrafiche.  Altri uomini si devono occupare di requisire camion e automobili. La mobilità è infatti fondamentale nei combattimenti di strada.
Il Campo di Calcio dello ‘Jupiter’ in calle ‘Lope de Vega’ al ‘Pueblo Nuevo’ , quello che è il quartiere con la più ramificata organizzazione sindacale di tutta Barcellona, è utilizzato come il punto di incontro da cui sarebbe iniziata l’insurrezione operaia contro il golpe.
Il ‘Comité de Defensa’ del Pueblo Nuevo ha già requisito due camion di una vicina fabbrica tessile che ora sono parcheggiati vicino al campo da calcio dello Jupiter che gli anarchici per anni hanno utilizzato come  arsenale clandestino per i gruppi d’azione impegnati nelle battaglie sanguinose contro i ‘pistoleros’ la polizia di Arleguì. Tra quelli che aspettano nelle vie circostanti, alcuni dei giocatori di quella strana squadra di calcio dai colori sociali bianchi e verdi che, il sabato precedente , ha vinto un’importante partita in trasferta contro l’ ‘Higuera la Real’.
Il ‘Comitato di Difesa’ della Confederazione è riunito ormai da giorni nell’appartamento di Gregorio Jover al 276 di calle Pujades al ‘Poble Nou’. L’abitazione di Jover è stata scelta perché praticamente tutti i membri del ‘Nosotros’ vivono nelle immediate vicinanze. Con il ‘vecchio’ o il ‘cinese’ come tutti chiamano affettuosamente Jover , in quell’appartamento dove una pendola ticchetta con tormentosa lentezza, ci sono Garcia Oliver che vive lì vicino, in calle ‘Espronceda’ al numero 72 , Durruti  che abita a meno di un chilometro al ‘Clot’ , Ortiz che al Pueblo Nuevo, addirittura c’è nato e che ora abita nella strada ‘Independencia- Wad Ras’, Francisco Ascaso che vive con la sua compagna in calle ‘San Juan de Malta’, Ricardo Sanz che ha con sé un mitra cecoslovacco che è riuscito a nascondere alle innumerevoli perquisizioni a cui è stato sottoposto, Aurelio Fernandez e José Pérez Ibanez ‘El Valencia’. Dalle finestre dell’ appartamento si vede il terreno da gioco dello ‘Jupiter’ dove sono  parcheggiati i due camion. Nell’appartamento , una mitragliatrice Hotchkiss, due fucili mitragliatori e numerosi Winchester .Gli uomini sono disfatti dalla tensione . Vegliano infatti , armi alla mano ormai da quattro giorni. Stanno in piedi praticamente a caffè e sigarette. La stessa cosa, in tutta la città, stanno facendo migliaia di uomini che vivono praticamente da giorni nelle stanzette dei sindacati, quei piccoli locali che sanno sempre di rinchiuso e dell’odore del fumo stantio delle sigarette . Sono le cinque del mattino.
‘ Compagni, il comitato di quartiere del rione Sans ha appena telefonato. Le truppe abbandonano le caserme’. La staffetta  è quasi senza fiato.
Le strade Lope de Vega , Espronceda, Llull e Pujades che delimitano il campo dello Jupiter sono  piene di militanti della CNT armati. Una ventina di uomini scelti che accompagneranno gli uomini del ‘Comitato’ nei combattimenti di strada, si precipita ai camion . Ortiz e Sanz montano una mitragliatrice sul tetto della cabina del camion che apre la marcia .
‘ Che facciamo? Aspettiamo le sirene?’ domanda Durruti. All’ improvviso parte, inaspettato, lugubre  e lamentoso, l’ululato delle  sirene delle fabbriche tessili del ‘Pueblo Nuevo’ che chiamano  alla insurrezione. Il segnale si estende agli altri quartieri e alle navi ormeggiate nel porto. Gli uomini del comitato si sono raccomandati in decine di riunioni. Non bisogna per nessun motivo barricarsi nell’illusoria sicurezza dei quartieri operai. Bisogna puntare verso il centro, là dove si svolgerà la battaglia decisiva.
 I due camion bandiere rosso e nere spiegate , seguiti da un corteo di uomini armati che cantano ‘Hijo del Pueblo’ incitati dai vicini accalcati sui balconi, infilano calle ‘Pujades’ verso la ‘Rambla’ del ‘Pueblo Nuevo’, per poi continuare verso ‘Pedro IV’ da lì alla sede delle ‘Costruzioni’ in calle ‘Mercaderes’ e poi al ‘Metallurgico’ e infine ai ‘Trasporti’ sulle ‘Ramblas’.
‘ Gli attivisti anarchici hanno passato la notte nei locali del sindacato, nei comitati, nelle stanze sul retro. Ora affluiscono sul centro cittadino. I gruppi di Sans, Hostafrancs e Collblac. I ‘murciani’ della Torrassa, i membri della CNT della casa Antunez si muovono verso Plaza de Espana e il Paralelo ; loro meta è la caserma dei Pionieri di Lepanto. I lavoratori tessili della ditta la Espana Industrial, i metallurgici della Escorsa e della Siemens, delle lampade a Incandescenza Z che appunto sono in sciopero, muratori e conciatori, lavoratori del mattatoio e spazzini, braccianti e, in mezzo a loro, alcuni cantanti del coro Clavé, sottoproletari delle baracche del Montjuich ed anche qualche pistolero di Pueblo Seco: vengono tutti. Ci sono anche ortolani di Gracia, da sempre rivoluzionari ed anarchici, lavoratori delle filande e dei depositi tranviari ed anche commessi di negozio. E tutti avanzano verso il Cinco de Oros, sulla Diagonale, verso i confini dei loro quartieri., innalzano barricate, sorvegliano le vie di comunicazioni e gli incroci. I sottoproletari del monte Carmelo scendono nella città e si uniscono agli abitanti delle strade ancora in costruzione che si perdono in aperta campagna, e con gli antichi compagni di Poblet e Guinardò , che hanno ascoltato il grande maestro degli anarchici, Federico Urales e conoscono sua figlia Federica Montseny, da quando era bambina. Gli operai della Fabra y Coats y Rottier, i meccanici delle officine della Hispano-Suiza, gli specializzati dello stabilimento meccanico El Maquinista si uniscono ai manovali e ai disoccupati e convergono verso la caserma e l’arsenale di San Andrés, dove sono conservate armi a sufficienza da assicurare loro il dominio dell’intera città. E non dimentichiamo quelli delle fonderie Girona, quelli delle officine elettriche e delle fabbriche di carta , i lavoratori del gas e i chimici di Clot, Provensals, Lacuna e Pueblo Nuevo, che si ricongiungono con la gente di Barcellona, con i pescatori, i portuali, i metallurgici delle officine Vulkan, i ferrovieri della linea del Nord e i gitani di Somorrorstro. Tutti hanno udito le sirene….’( Luis Romero) pag 116 Hans Magnus Enzensberger ‘La breve estate dell’anarchia’.
Anche il più ilota tra tutti gli uomini e le donne di Barcellona sa quanto il dominio delle Ramblas  sia fondamentale. Perché chi tiene questa arteria, impedisce l’incontro dei sollevati fra ‘Plaza de Catalunya’ e le ‘Atarazanas- Capitania’ e allo stesso tempo permette rapidamente attraverso le strade secondarie e strette del ‘Barrio Chino’ e della ‘Ribera’ di andare in soccorso dei combattenti operai della ‘Brecha di San Pablo’ e dell’ ‘Avenida Icaria’.
E’ indispensabile impedire che le truppe uscite dalle caserme possano arrivare al centro della città e si uniscano a quelle sortite dalla Capitania- Atarazanas o prendano il centro nevralgico dei telefoni, del telegrafo, delle poste o della radio.
Un aiuto insperato gli uomini dei gruppi d’azione, lo trovano nei sergenti di artiglieria Valeriano Gordo e Martin Terrer delle Atarazanas che aprirono il portone che dava sulla calle Santa Madrona . I gruppi armati riescono a entrare e a prendere prigionieri quasi tutti gli ufficiali . Però le raffiche di mitragliatrice sparate dal vicino edificio de ‘Las Dependancias Militares’ permettono che il tenente Colubì potesse scappare e prendesse così il comando della resistenza. Le porte degli ampi cortili interni che mettevano in comunicazione le antiche Atarazanas medioevali con l’edificio della Maestranza che dava direttamente sulle Ramblas dove erano situati gli acquartieramenti della Brigata di Artiglieria e  gli appartamenti degli ufficiali , resero possibile che i soldati lì fortificati potessero resistere all’attacco. I fascisti recuperarono il controllo della caserma però gli anarchici nella ritirata , portano via con sé quattro mitragliatrici ,  duecento fucili e varie casse di munizioni. Il fuoco incrociato fra l’edificio delle Dependencias e la parte della caserma delle Atarazanas che dava sulla ‘Rambla di Santa Monica’ , a cui si aggiungevano le mitragliatrici installate alla base del monumento a Colòn le rese inespugnabili. Dato che i militanti dei sindacato della ‘Metallurgia’  e dei ‘Trasporti’ erano andati verso Barceloneta, le forze anarcosindacaliste  che controllavano ‘Plaza del Teatro’ decisero immediatamente l’assalto per portarsi alla ‘Brecha de San Pablo’ con l’armamento preso alle Atarazanas lasciando  il settore delle Ramblas con gli edifici della ‘Dependencia’ e la ‘Maestranza’ delle ‘Atarazanas’ assediati da un gruppo sotto il comando di Durruti con un pezzo di artiglieria maneggiato dal sergente Gordo.