lunedì 2 maggio 2011

‘ LE BARRICATE DI BARCELLONA’


LA RIVOLUZIONE E’ UNA FESTA PERCHE ’ SI CONTRAPPONE AL GIORNO FERIALE DELL’UMILIAZIONE’.

( Milan Kundera)


‘UN GIORNO UN POPOLO SENZA DIO NE’ PADRONE ACCESE FUOCHI DI GIOIA CON I BIGLIETTI DI BANCA ’.

(Anonimo)

‘L’ATTESA ’


19 luglio 1936 : Barcellona

Quel giorno tutti gli uomini  e le donne che vivevano a Barcellona , percepivano che c’era nell’aria una tensione spasmodica che annunciava che qualcosa di ancora magmatico, dai contorni indefiniti,  ma comunque di totale e di definitivo sarebbe di lì a poco successo .
I fornai avevano infatti già esaurito il pane fin dalle prime ore del mattino. Nessuno, malgrado fosse una giornata calda e afosa con un’umidità che  inzuppava la camicia, era andato a fare il bagno sulla spiaggia di Barcelonete.
Nemmeno uno tra le centinaia di migliaia di operai che si erano sfiniti per anni alla ‘Fabra y Cootier’ o alla ‘Canadiense’, come nelle centinaia di fabbriche tessili che allora cingevano tutta quanta la città, si era presentato al proprio posto di lavoro. In giro non c’era nessuno.
Spariti i ragazzini che durante tutta quanta l’estate vivevano praticamente per strada. Chiuse le edicole , sprangati i chioschi ricoperti dalla lamiera traforata, che li rendono tanto simili a pagode indiane in miniatura. Serrati i lussuosi negozi dell’’Ensanche’ così come le bettole e i caffè del ‘Paralelo’ o le povere bottegucce del ‘Pueblo Seco’. Perfino i lustrascarpe con le loro scatole di legno erano scomparsi  da ‘Plaza Real’ come dalle ‘Ramblas’,inghiottiti dall’asfalto. Soltanto qualche rara massaia con la ‘sporta’ a losanghe nere e marroni colma di cibo, si affannava verso casa.
C’era nell’aria , al ‘Pueblo Nuevo’ come sopra i  microscopici orti  della ‘Torrassa’ e nei luridi vicoli del ‘Barrio Chino’ la stessa elettricità che la città intera aveva conosciuto durante la ‘Semana Tragica’ o in una delle tante insurrezioni che erano state il contrappunto della storia sociale di quella città anarchica e ribelle.
In compenso le strade dove avevano le sedi i sindacati del ‘Metallurgico’, dei ‘Trasporti’e delle ‘Costruzioni’, così come quelle su cui si aprivano gli ‘Ateneos’ che allora punteggiavano tutta quanta la città, nereggiavano di migliaia di persone.
Tutti sapevano che due giorni prima , alle cinque del pomeriggio in punto, il ‘Tercio’ si era sollevato a Melilla e il giorno dopo l’ ‘alzamiento’ si era esteso al Marocco e a Siviglia, da dove già arrivavano notizie che il sangue dei ‘ fratelli fucilati’ nel solo rione di ‘Triana’ era colato fin nel mezzo della città.
Arrivavano per telegrafo le notizie che l’esercito si era ‘alzato’ ancora una volta per ‘…salvare la Spagna dalla sovversione e dall’anarchia’ come aveva detto per radio un generale dall’aspetto pingue e la voce chioccia che si chiamava Francisco Franco. Gli operai, in piazza di Catalunya come sulle Ramblas, si strappavano letteralmente l’un l’altro di tra le mani le copie della ‘Soli’ ancora umide di inchiostro.
‘ A Siviglia i fascisti sparano sui nostri fratelli! A Cordoba i militari si sono sollevati. In Marocco si combatte nelle strade. Chi non compie il suo dovere di rivoluzionario è un traditore della causa del popolo.’ VIVA IL COMUNISMO LIBERTARIO. Gridavano i titoli di quel giornale che allora era per davvero ‘il sale e il pane per tutti gli operai di Barcellona’.
Ma tutti sapevano con certezza che la partita decisiva si sarebbe giocata lì, a Barcellona, in quello che era il cuore industriale di tutta la Spagna. Lì in quella città che deteneva tutti i record economici e dove lo scontro sociale era sempre stato frontale, senza mediazione né sfumatura alcuna. Lo sapevano gli uomini e le donne che chiedevano a gran voce ‘armi’ e che gli anarchici dei gruppi d’azione con il viso distrutto dalle veglie notturne e dalla tensione, cercavano inutilmente di calmare. E lo sapevano anche gli anarchici di Tarrasa come i minatori dell’Alto llobregat, che non a caso già dal giorno prima, erano affluiti numerosi in città.
In tutti i quartieri operai della città, i più conosciuti tra i militanti anarchici davano agli operai le ultime disposizioni.
Durruti ha incitato gli uomini dei Comitati di Difesa di San Martin, San Andres e del Pueblo Nuevo, Garcia Oliver è stato a Sans, Hospitalet e La Torrasa. Ascaso invece al sindacato delle Costruzioni che dà sulle Ramblas, con infinita calma continua a frenare l’impazienza dei tanti compagni che vorrebbero fin da subito attaccare le caserme.
Lo sapevano anche i generali che chi vinceva a Barcellona teneva nelle sue mani la Spagna intera.
La guarnigione della città contava infatti 16.000 uomini , che appartenevano ai migliori reparti delle ‘dependancias’ militari in cui era divisa allora tutta la Spagna e decine di mitragliatrici, con una scorta praticamente infinita di munizioni. Sufficienti per stroncare nel sangue qualsiasi tentativo di resistenza operaia. Gli ufficiali superiori che comandavano le truppe, erano tranquilli e fiduciosi. Tutti loro sapevano infatti con certezza che i rapporti di forza erano assolutamente dallo loro parte. Il piano di battaglia che è stato elaborato dal comandante della guarnigione, il generale llano de Encomienda è semplice. I soldati usciranno dalle loro caserme tra le quattro e le cinque del mattino. Tutte e cinque le colonne ‘punteranno’ sul centro della città, per occupare i palazzi del Telegrafo, la Telefonica, le poste e le stazioni radio. Poi toccherà al palazzo della Generalitat e a quello della Gobernacion .
A quel punto il più sarà fatto. Non rimarrà altro allora che marciare sui quartieri operai e stanare gli anarchici dalle loro tane. Del resto era stato tante volte ripetuto ai soldati che ai primi colpi di cannone, il ‘popolaccio’ se la sarebbe data a gambe per correre a nascondersi nei più riposti e oscuri anfratti . Erano assolutamente tutti convinti che sarebbe andata a finire in quel modo.
Contro i soldati  infatti Companys  e la ‘Generalitat’ che sicuramente temevano un’insurrezione fascista, ma ancora di più una rivoluzione operaia, potevano mettere in campo appena duemila ‘Guardie di Assalto’ e duecento ‘Mossos d’ Esquadra’. Poi c’era la Guardia Civil, all’incirca tremila uomini che nessuna sapeva con certezza da quale parte si sarebbe schierata.
E’ vero bisognava anche mettere nel conto i circa ventimila uomini che la CNT e la FAI avevano organizzato nei ‘Comitati di Difesa ’. Ma tutti sapevano che appena mille tra di loro erano armati, quasi sempre soltanto con una ‘Star’.
Visto che Escofet, il responsabile per l’Esquerra dell’ordine pubblico, che gli anarchici avevano contattato il giorno prima con disperata urgenza, si era rifiutato di distribuire armi agli operai.
Gli uomini della CNT e quelli della FAI avevano allora cominciato a cercarsi le armi dove potevano.
Juan Yague, segretario del sindacato dei trasporti marittimi, aveva assaltato con i suoi uomini i ‘quadrati ’ delle navi alla fonda nelle acque luride del Porto Vecchio, e si era così impadronito di circa centocinquanta fucili. Le armi ‘lunghe’ nelle mani del sindacato e degli uomini dei gruppi d’azione erano in pratica tutte lì. Armi che addirittura la polizia catalana aveva cercato di sequestrare.
Messa in questi termini, non ci poteva dunque essere partita.
Quando le staffette ansanti, portarono la notizia che i soldati stavano uscendo dalle caserme, gli anarchici cominciarono  a saccheggiare le armerie, vennero attaccati i ‘serenos’ e i vigili urbani,  le automobili sequestrate , cariche di operai che correvano ai loro posti di combattimento, cominciarono a scivolare veloci sui viali, clacsonando aritmicamente ‘CNT. CNT. FAI’.
Gli uomini del ‘Chimico’ e quelli del ‘Metallurgico’ tirarono fuori dalle soffitte e dalle cantine, le bombe a mano che avevano fabbricato nelle minuscole officine perse tra i ‘docks’ del porto e un gruppo scelto si diresse verso la caserma di ‘San Andres’ dove, con un’azione praticamente suicida, doveva far saltare con delle cariche di dinamite il portone d’ingresso e mettere così le mani sui trentamila fucili che tutti sapevano essere custoditi nell’arsenale.


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