domenica 17 aprile 2011

COSE DA MELCHOR


 

Madrid 14 febbraio 1972

Quel giorno a Madrid faceva il solito freddo feroce  e asciutto che da sempre il vento che scende dalla ‘sierra’ fa calare in inverno su tutta quanta la città.
Davanti al cimitero più importante della capitale, alcune centinaia di persone si accalcavano disordinatamente dietro a un feretro ricoperto da una bandiera rosso e nera con  sopra ricamate le lettere dorate : ‘CNT-AIT’.
La bara portata a spalla, entrò negli ampi e geometrici viali del cimitero, poi finalmente i portatori si arrestarono proprio davanti a una fossa  appena scavata  e la cassa fu calata nel buio della tomba con delle corde di colore bianco che si sporcarono con la terra scavata di fresco .
A questo punto i molti ufficiali presenti , tutti in uniforme, salutarono militarmente, mentre altri cominciarono a recitare il padrenostro che si concluse con un amen collettivo.
Nel silenzio che seguì, si alzò, prima esitante, poi sempre più sicuro, cantato da molti compagni ormai anziani che si difendevano dal freddo pungente con pesanti cappotti , sciarpe di lana e il sempiterno basco in testa, l’inno ‘A las Barricads’. Alla fine  molti salutarono  con il pugno chiuso. Poi i becchini cominciarono a riempire di terra la tomba , mentre i presenti tornavano a casa.
Quelli furono i funerali strani e bizzarri di Melchor Rodrigueza, di colui che era stato tra le tante altre cose anche l’ultimo sindaco di Madrid.
Melchor Rodriguez Garcia era nato a Siviglia e , non poteva essere altrimenti ,nel popoloso e popolare quartiere di Triana, nel 1893.
Rimasto orfano di padre , che era morto in un incidente sul lavoro  giù al porto,ad appena dieci anni, aveva svolto innumerevoli mestieri tra cui il calderaio e l’ebanista. E da buon sivigliano , verso i sedici anni, era sceso a cercare fortuna nell’arena.
Come ‘novillero’,  se ne trovano tracce nelle corride che si tennero a Sanlucar, El Viso e nella stessa Siviglia.
Era entrato nella CNT relativamente tardi, quando aveva già compiuto i ventisette anni  e subito, si era conquistato  un posto di tutto rispetto nel tumultuoso milieu anarchico di Madrid, città dove si era trasferito assieme alla sua compagna, per scampare alla persecuzione della polizia di Siviglia, che aveva reso impossibile la vita a lui e alla sua famiglia.
In pochi anni infatti Melchor che si era innamorato della parola scritta, aveva collezionato più di trenta arresti e detenzioni, per ‘delitos de imprenta’ a causa dei suoi scritti sulla stampa anarchica: ‘CNT’, ‘La Tierra’, ‘Solidaridad Obrera’, ‘Campo Libre’, ‘Castilla Libre’ e  ‘Crisol’, soprattutto per gli aforismi e le poesie in rima baciata che pubblicava a getto continuo.
Perché, oltre alla corrida, Melchor , quell’ uomo dal carattere gioioso, affabile e bonario, rimarrà sempre fedele , per tutta la vita,al suo amore per la poesia.
Oltre a scrivere, arrivato a Madrid, Melchor si lega al gruppo anarchico de ‘Los Libertos’ e assieme a Feliciano Benito, Caledonio Pérez, Francisco Trigo,Salvador Canorea e altri,  sviluppa un’intensa propaganda a favore di una visione umanista dell’anarchia che gli farà dire a più riprese che : ‘ si può morire per le proprie idee, mai uccidere per esse’.
La sua visione dell’anarchia  è infatti quella di un ideale che potrà concretizzarsi soltanto dopo un lungo cammino educativo e culturale che dovrà interessare  tutto quanto il popolo spagnolo, un ideale il suo che ricorda quello di Leone Tolstoj.
Ma Melchor dimostra anche una grande capacità organizzativa, è infatti presidente dell ‘Ateneo de Divulgacion Social’ e ricopre un ruolo di prima piano come organizzatore del comitato di sostegno allo sciopero della ‘Telefonica’, il primo grande sciopero che avviene sotto la Repubblica.
Quella stessa repubblica che lui attacca duramente con lettere aperte che appaiono sulla stampa del movimento  visto che , in appena un anno, i corpi di polizia della stato spagnolo, hanno fatto in scontri di piazza, 287 morti, quasi tutti operai e contadini e più di tremila detenuti politici, quasi tutti anarchici.
Lui è ormai un abbonato alle celle del  quinto raggio del  ‘Modelo’  , ma quell’uomo alto e robusto, dall’aria affabile e paciosa, che tutti nel movimento rispettano per il suo coraggio e la sua dirittura morale, anche se spesso i suoi interventi pubblici vengono bonariamente commentati con la frase : ‘ Cosas de Melchor’, dimostra anche di essere un ‘duro’ che non ha nulla da invidiare in quanto a coraggio e determinazione ai molti  uomini d’azione che sono celebrati con tanta venerazione nel movimento.
Infatti,  quando viene accusato dai socialisti di avere ordito contro la repubblica un complotto che vede la Fai e la Falange unite per disarticolare la repubblica, la sempiterna  teoria degli ‘opposti estremismi’ che quando fa comodo  ritorna, Melchor, malgrado le minacce di morte che riceve, si rifiuta di entrare in una cella del ‘penal’ di Ocana  dove è stato tradotto, perché questa è troppo lurida.
Che il sivigliano sia un uomo molto pericoloso per il regime, malgrado la sua acclarata filosofia nonviolenta, è confermato dal fatto che questa volta , il ‘fiscal’ chiamato a pronunciarsi sulla sua liberazione, fissa la cauzione per la sua liberazione alla cifra astronomica di 50.000 pesetas, somma che ovviamente Melchor non può pagare e pertanto rimane in carcere.
Quando esce dalla prigione, partecipa attivamente al dibattito sull’illegalità che attraversa tutto quanto il movimento anarchico.
Interviene in tutte le discussioni, partecipa a tutte le assemblee e alle riunioni che si tengono a Madrid, scrive innumerevoli volte sugli organi di stampa del movimento. Spesso la sua è una nota discordante, anzi stravagante che spicca tra gli interventi dei ‘duri’ dei gruppi d’azione, che per finanziare i sindacati e gli ateneos, per aiutare i tanti che stanno in galera, non si fanno scrupolo di andare a prendere i soldi dove sono: nelle banche.
Su questo Melchor è irremovibile: ‘ los atrcadores no pueden estar entre nosotros’. I suoi attacchi a chi pratica o quantomeno difende le rapine in banca sono motivati dal fatto che la pratica degli  ‘atracos’ secondo lui, diffonde repulsione e demoralizzazione in tanti compagni, inoltre argomenta Melchor, chi pratica le rapine in banca corre il rischio, non soltanto di gettare il discredito sul movimento intero, ma di fare di questa  una vera e propria professione.
Le parole di Melchor cominciano a fare breccia tra molti compagni, tanto che i gruppi anarchici madrileni che si chiamano; ‘Los de siempre’, ‘Los Desconocidos’, ‘Los Rebeldes’,  ‘Los Libertos’, ‘Los Hermanos’ e altri ancora, su questo argomento si dividono praticamente a metà.
C’è da dire che malgrado la sua ripugnanza per ogni forma di violenza, Melchor manterrà sempre rapporti di fraterna amicizia con alcuni dei più conosciuti  tra gli uomini d’azione, come Cipriano Mera, ed entrerà a far parte, assieme a loro,del comitato di sciopero che dirigerà la lotta più lunga e dura del proletariato madrileno: lo sciopero delle ‘costruzioni’.
Uno sciopero, quello delle ‘costruzioni’, che ‘parte’ nel maggio del 1937 e fin dall’inizio appare chiaro a tutti i 70.000 muratori di Madrid, la metà della quale sono organizzati nella CNT, mentre gli altri militano nell’UGT , che quello è uno sciopero assolutamente particolare.
Innanzitutto questa è la prima ‘huelga’ che i due sindacati hanno proclamato in modo congiunto, poi è stato solennemente siglato un patto tra le due organizzazioni sindacali , nessuna delle due darà ai suoi affiliati l’indicazione di tornare al lavoro, cosa questa che spetterà a un’assemblea di tutti quanti  gli operai.
Lo sciopero fin dall’inizio è caratterizzato da un’estrema violenza, i padroni non cedono su nulla, né sulle richieste di aumenti salariali, né tantomeno su quella della riduzione dell’orario lavorativo  e gli operai, da parte loro, ormai ridotti alla fame, dopo settimane di sciopero,obbligano i commercianti a servirli senza pagare, oppure si recano in massa a mangiare nei ristoranti e poi se ne vanno senza pagare.
Ogni giorno i picchetti che vietano l’ingresso nei cantieri che punteggiano la capitale ai pochi crumiri che non hanno aderito allo sciopero, si scontrano con i reparti della polizia che si mostra impotente davanti alla loro determinazione.
Intervengono allora , nell’intento di schiacciare la lotta, i falangisti che, comandati da RaimundoFernandez Cuesta, prima attaccano gli operai che da soli tornano a casa, poi se la prendono con gruppetti di muratori che si concentrano davanti ai cancelli.
Gli operai reagiscono e attaccano a colpi di pistola i falangisti che si sono barricati nei ministeri, questi reagiscono e feriscono gravemente alcuni anarchici. Per rappresaglia alcuni uomini della CNT, mitragliano da un’automobile il corsa un caffè dove si riuniscono i falangisti, tre di loro, della scorta personale di José Antonio, cadono al suolo morti.
In un’assemblea degli scioperanti che si tiene al Colegio Maravillas ai Cuatro Caminos, Cipriano Mera e Teodoro Mora avvertono gli operai che sono lì convenuti, che è imminente un ‘golpe’ militare , che gli operai dovranno affrontare da soli , perché il governo non ha nessuna intenzione di scontrarsi con l’esercito e che lo sciopero , proprio per questi motivi, deve trasformarsi in uno sciopero generale rivoluzionario.
E’ a questo punto,che i dirigenti dell’UGT, spaventati da quello che hanno detto gli anarchici, danno l’indicazione agli operai iscritti al loro sindacato, di tornare al lavoro.
Gli obiettivi principali dello sciopero, argomentano, sono stati raggiunti  e  per quanto riguarda il resto, c’è tempo per negoziare.
Ciò che i dirigenti socialisti non dicono,è che loro hanno paura che lo sciopero si trasformi in un grave pericolo per il governo di cui fanno parte i loro leaders più prestigiosi.
A questo punto,  gli operai della CNT continuano quello sciopero che sta ormai diventando una prova di forza con lo stato, l’UGT e i comunisti che vengono accusati di essere dei traditori perché hanno violato la decisione dell’assemblea.
Zuffe selvagge si accendono ogni giorno davanti ai cantieri, molti degli scioperanti portano la rivoltella nelle tasche della tuta da lavoro,il 9 di giugno, in diversi scontri, muoiono tre operai della UGT e due della CNT.
I dirigenti del comitato di sciopero David Antona, Teodoro Mora, Eduardo Val, Cipriano Mera, Melchor Rodriguez , Caledonio Perez, Mauro Bajatierra e Antonio Moreno, arrestati dalla polizia vengono rinchiusi al Modelo.
E in carcere li sorprende quell’ ‘alzamiento’ che alcuni di loro avevano previsto con tanta lucidità.
Il 18 mattina, la CNT , quando già i soldati si sono sollevati, decide di impadronirsi con la forza di armi e di requisire quelle automobili che sono indispensabili per la mobilità nei combattimenti di strada.
David Antona che in quel momento ricopre la carica di segretario del Comitato Nazionale, è liberato il 19 e la prima cosa che fa è quella di fiondarsi al ministero della guerra e di minacciare il generale Sebastian Pozas di lanciare i suoi uomini all’assalto del carcere se tutti gli anarchici lì detenuti, non verranno messi subito in libertà. Entro  sera, tutti gli uomini della FAI e della CNT ancora in prigione, sono liberi e corrono sulle barricate che sono sorte in tutta quanta la città.
Anche Melchor è libero e subito partecipa alle prime assemblee che decidono le mille cose che ci sono da fare, porta sempre una pistola al fianco , anche se nessuno saprà mai che quell’arma è scarica.
Quattro giorni dopo la sollevazione militare, Melchor vedendo quello che sta succedendo in città e il sangue che scorre nelle strade e nelle piazze di Madrid, si dà da fare per salvare il maggior numero di persone possibile, aiutato in questo da Celedonio Perez, Salvador Canorea e altri militanti del suo antico gruppo di Los Libertos.
Melchor si rende subito conto che quello che sta accadendo in città è l’esplosione di una rabbia accumulata e stratificata da anni.
In tanti che per anni, hanno subito uno sfruttamento feroce e umiliazioni senza fine, ritengono che sia arrivato il momento di regolare i conti, una volta per tutte e questo Melchor non lo può proprio accettare, in quanto secondo lui , tutti hanno diritto a vivere una vita piena e degna di essere vissuta.
Così il 23 luglio , assieme a Caledonio Pérez, Luis Jiemenez e altri del suo antico gruppo, tutti armati con vecchi mauser scarichi, occupa il palazzo del marchese di Viana nella centrale calle del Duque de Rivas.
Il maggiordomo che apre stupito a quegli uomini il pesante portone che dà sulla strada, li guida in un giro di ricognizione in quell’immenso palazzo colmo di ricchezze e di opere d’arte. La prima cosa che fa Melchor è la realizzazione di un inventario delle opere d’arte che sono contenute nella residenza, inventario che poi, per corriere diplomatico, farà recapitare al marchese che nel frattempo si è rifugiato a Roma.
Il palazzo sarà l’unico che non subirà danno alcuno durante i tre anni che vedranno Madrid essere in prima linea in una guerra distruttiva e feroce.
Melchor e Caledonio attuano una nuova distribuzione delle stanze che compongono quel palazzo enorme.
Riservano a sé a agli altri uomini che fanno parte del gruppo,  alcune sale e gli appartamenti più vicini al portone d’ingresso , mentre  il resto viene adibito a rifugio per moltissime persone: preti, militari, falangisti, funzionari, industriali e padroni che cercheranno e troveranno protezione e riparo presso quello strano gruppo di anarchici.
Molte personalità di destra inoltre telefonano a quel palazzo e chiedono a Melchor di intervenire e salvare un amico, un marito o un parente che sono stati arrestati e che sono spariti in una delle tante ‘checas’ attive in quei giorni in tutta quanta la città e in tanti  si recano di persona in quell’austero palazzo a cercare aiuto, perché  si è sparsa in un lampo in tutta quanta la città la voce che un anarchico aiuta tutti quelli che si rivolgono a lui, senza chiedere niente in cambio .
E Melchor non si fa certo pregare per intervenire, tanto che tra luglio e ottobre, salva in un modo o nell’altro, centinaia di persone.
Melchor si è ormai conquistato un posto assolutamente particolare nel panorama della Madrid rivoluzionaria tanto che Garcia Oliver, come a dire il prototipo dell’uomo d’azione, l’antico ergastolano diventato per uno strano caso del destino, ministro di giustizia, affida proprio a lui la gestione delle prigioni di tutta quanta Madrid, carica che manterrà fino al marzo del 1937.
Melchor che in tanti cominciano a chiamare con il nome di ‘El Angel Rojo’, non soltanto migliora le condizioni di vita degli 11.200 uomini che sono rinchiusi nelle carceri della città, ma si scontra anche con i comunisti che, con Santiago Carrillo, su ordine dei consiglieri sovietici che sono ormai affluiti numerosi in città, si vogliono far consegnare i prigionieri rinchiusi nelle carceri.
Melchor anche in questa occasione,dimostra di quale pasta è fatto, oppone infatti un ‘no’ rotondo a queste richieste,finché lui sarà il responsabile delle prigioni, non ci saranno esecuzioni sommarie. Anzi denuncia le ‘checas’ private del partito comunista, dove cominciano a sparire, non soltanto i fascisti, ma anche i compagni ‘scomodi’, che diventeranno di lì a poco la maggioranza degli uomini rinchiusi nelle carceri della Spagna repubblicana.
‘Cose da Melchor’ , rispondono ancora una volta gli anarchici a quelli, e sono tanti che fanno notare che Rodriguez continua imperterrito a salvare gli avversari politici e che così non si può andare avanti e insinuano che l’anarchico sta nei fatti aiutando la Quinta Colonna.
In molti compagni, anche in quelli che sono sideralmente lontani dalle idee dell’andaluso, si fa strada che ciò che lui sta facendo è importante, perché la ‘pietas’ che lui manifesta in tutte le sue azioni, è qualcosa che salva anche in chi combatte , armi alla mano, l’umanità che sempre deve contraddistinguere chi lotta per un mondo migliore.
E’ il 6 dicembre del 1936 che fa passare Melchor alla storia. Quel giorno una turba inferocita di madrileni si reca in massa al carcere di Alcalà, gli uomini e le donne furiosi per i bombardamenti terroristici che hanno fatto centinaia di vittime in tutta quanta la città, e per le notizie dei macelli che arrivano dai ‘pueblos’ e dalle città che i ‘nazionali’ hanno occupato,  vogliono i prigionieri per vendicarsi di quel nemico che non si fa scrupolo alcuno di massacrare uomini, donne e bambini.
Melchor si fa sulla porta del carcere, da solo, armato soltanto della sua capacità di convincimento, non ha paura di quella folla inferocita e disperata, del resto ha combattuto i tori nell’arena e la paura, che lui personalmente ritiene l’anticamera della violenza gli è sconosciuta.
Melchor parla per ore, per quasi tutto il giorno, mentre i 1532 prigionieri, tra cui Munoz Grandes, Raimundo Fernandez, Martin Artajo e Pena Boeuf, come a dire alcuni che diventeranno  tra i più alti dignitari del franchismo, aspettano terrorizzati nelle celle buie, di essere linciati,
Alla fine quegli uomini e quelle donne che volevano un bagno di sangue, convinti dalle sue parole, se ne tornano a casa.
Melchor non riesce proprio a tirare il fiato. Migliora il rancio dei detenuti, apre all’interno del carcere un ospedale, accompagna centinaia di prigionieri da Madrid ad Alicante e a Valencia, teme infatti che qualcuno li possa massacrare lungo la strada.
Ma Melchor è troppo scomodo, soprattutto a partire da quando si scontra duramente con  José Cazorla comunista, consigliere di Ordine Pubblico della Giunta di Difesa di Madrid, ormai egemonizzata dai comunisti e dai consiglieri sovietici, tanto che, non potendolo rimuovere dal suo incarico,questi cercano di ammazzarlo. E quella non fu l’unica volte
Secondo Melchor infatti , i comunisti cercarono di ucciderlo almeno sei volte, come ebbe a scrivere in una lettera conservata oggi  all’ Istituto di Storia Sociale di Amsterdam.
Alla fine della guerra , scampato in extremis alla fucilazione a cui lo volevano sottoporre i comunisti, che non si erano certo dimenticati di quanto Rodriguez era stata una ‘bestia nera’ per loro, fu incaricato dagli organi dirigenti del movimento libertario di andare in Francia, a coordinare gli aiuti per i tanti compagni che avevano passato la frontiera. C’era già pronto un aereo che l’avrebbe condotto in salvo, mentre il fronte del Centro stava crollando e , in perfetta linea con quella che era stata tutta la sua vita, lui cedette il suo posto a Celedonio Perez e alla sua compagna.
Melchor attese  l’ingresso delle truppe franchiste in Madrid, cercò anche in quelle poche settimane di rendersi utile, aiutando i tanti profughi  e la popolazione di quella città esausta per tre anni di guerra e nel breve periodo che rimase nel suo ufficio fu l’unica autorità repubblicana della città, l’ultimo ‘alcade’ repubblicano.
Arrestato e condannato dal Tribunale Militare  a venti anni e un giorno di carcere , grazie a una pletora di testimoni falsi, malgrado la difesa che fece del suo operato il generale Munoz Grandes che arrivò ad esibire migliaia di firme di uomini che Melchor aveva salvato, rimase in carcere circa cinque anni.
Uscito, dopo avere rifiutata qualsiasi carica che uomini del regime per anni gli offrirono con insistenza, visse in una povertà sempre priva del minimo rancore, rifiutando quel soprannome ‘El Angel Royo’ che era stato coniato per lui da alcuni dei tanti che aveva aiutato.
Pochi giorni prima di morire fu trovato esanime e in coma , steso in una via della città che tanto amava.
Non si riprese dalla brutta ferita alla testa che i medici dell’ospedale avevano riscontrato.
Nessuno può dire se Melchor perì in un incidente o ammazzato da qualcuno, anche se erano ormai passati più di trenta anni, dei nemici che si era fatto durante la guerra civile,ne circolavano ancora tanti.
La sua anarchia , l’anarchia di Melchor Rodriguez è quella che in versi forse ingenui, sicuramente efficaci , espresse in un poema in versi a cui stava lavorando:
‘Y si un paria de la tierra
te pregunta lo que encierra
dentro de sì el anarquismo
explicaselo tu mismo
como su doctrina indica:
anarquia significa:
Belleza,amor, poesia,
igualdad,fraternidad,
sentimiento, libertad,
cultura,arte, armonia,
la razon,suprema guia,
la ciencia,excelsa verdad,
vida,nobleza,bontad,
satisfaccion,alegria.
Todo esto es anarquia
y anarquia, humanidad.’

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