domenica 17 aprile 2011

LA GUERRA PREVENTIVA


 
 La matanza de la ‘Escuela Santa Maria de Iquique’.


Arrivavano a Iquique, una città del nord del Cile, dove erano ancora evidenti gli esempi di quell’architettura coloniale che gli spagnoli a suo tempo avevano disseminato in tutte le città del Sud America. Provenivano del distretto minerario di Tarapaca, erano migliaia di  uomini  e di  donne, in lunghe file nere e dolenti, accompagnati da  vere e proprie ‘nidiate’ di bambini. Avevano attraversato il deserto di Atacama, il deserto più arido al mondo, dove non esiste nemmeno un’oasi e dove passano decenni, prima che le nuvole lascino cadere almeno un velo di pioggia.
A partire dal 14 dicembre del 1907, avevano cominciato a discendere il passo, diretti verso la spiaggia, quasi nessuno tra di loro aveva mai visto il mare e si accasciavano spossati per la lunga marcia che era durata giorni e giorni. Si erano messi in sciopero pochi giorni prima, il 10 per la precisione  e poi erano partiti a piedi da una delle trenta  aziende-miniere quasi tutte di proprietà di due inglesi :John Thomas North e Robert Harvey, che  tutti conoscevano come ‘Los Reyes del Salitre’ e che punteggiavano quella che in Cile era chiamata la zona del ‘salitre’, che poi in termine scientifico è conosciuto come nitrato di potassio . Il ‘salitre ’ era allora l’elemento indispensabile per la fabbricazione di qualsiasi esplosivo e serviva anche e soprattutto per la conservazione dei salumi e della carne.
Per impadronirsi di quelle terre aride dal cielo sempre blu che erano comprese nei distretti minerari di Tarapaca e di Antofagasta , il Cile nel 1884 aveva fatto una guerra sanguinosa contro il Perù e la Bolivia e aveva poi ceduto i diritti estrattivi al capitale inglese che aveva realizzato in pochi anni vere e proprie fortune da sogno e che detenevano ormai l’85% delle risorse minerarie dell’intero paese.
I capitalisti inglesi avevano imposto le loro regole a migliaia di minatori argentini,boliviani e cileni , almeno 40.000 che facevano la loro ricchezza. Era difficile immaginare condizioni di lavoro più dure di quelle che erano costretti a sopportare quegli uomini che, in nome della modernità, parola che veniva ripetuta di continuo,  quasi fosse un ‘mantra’ , nei circoli più esclusivi di Santiago, si sfinivano per quattordici ore al giorno in quel lavoro estrattivo che bruciava loro la pelle, faceva lacrimare gli occhi, ustionava i polmoni e ballare i denti nelle gengive sanguinanti. Addirittura gli stivatori che caricavano sui pianali dei treni i sacchi da cinquanta chili l’uno di ‘salnitre’, lavoravano dalle quattro del mattino alle nove di sera. Tutti loro abitavano in centinaia, assieme alle loro famiglie , in miserabili costruzioni formate da enormi stanzoni, senza nessuna intimità, né assistenza sanitaria, senza scuola per i loro figli. Dormivano su sacconi di tela ruvida riempiti di paglia e poggiati su lamiere di zinco, avevano a disposizione un vitto miserabile. Persi in un deserto dove le temperature passavano brutalmente dagli zero gradi della notte ai circa quaranta del pomeriggio  e le guardie vigilavano armate sugli operai. Venivano pagati pochi centesimi al giorno e con gettoni che dovevano consumare nelle ‘pulquerie’, tutte di proprietà delle aziende, dove si vendevano a prezzi altissimi merci di scarsa qualità. Chi si azzardava a fare acquisti in una ‘tienda’ che non fosse di proprietà dell’azienda , era messo di fronte all’alternativa pura e semplice della punizione fisica o del licenziamento. Gli incidenti , spesso mortali, erano all’ordine del giorno, specialmente quando a 100 gradi veniva trattato il ‘salnitre’ e il minimo errore significava atroci bruciature in ogni parte del corpo.
Avevano dovuto accettare quel lavoro perché la terra che li aveva nutriti per generazioni, era stata loro tolta dalle grandi aziende agricole che dovevano rifornire di carne  e di grano l’Europa intera.
Una foto li mostra , quasi tutti a dorso nudo, altri con il camiciotto bianco, tutti hanno una buffa  berretta a forma di focaccia poggiata in precario equilibrio sulla testa e un badile in mano.
I ‘salitreros’ avevano già rivendicato nel 1903 i loro diritti, ma erano stati facilmente sconfitti, isolati com’erano dal resto del mondo, all’interno delle aziende che  avevano nomi come San Lorenzo , Zapiga e Agua Santa, distanti l’una dall’altra a volte centinaia di chilometri.
Era per questo motivo che nel dicembre del 1907, divisi in colonne di alcune migliaia di uomini ognuna, avevano marciato su Iquique, la città che viveva tutta quanta sul porto da dove il ‘salnitre’ veniva imbarcato per le industrie dell’intera Europa, per presentare le loro richieste alle autorità .
Che poi significavano,aumenti salariali che in qualche modo permettessero di fare fronte all’inflazione, fine del monopolio commerciale da parte delle compagnie all’interno delle aziende dove essi lavoravano, riduzione dell’orario della giornata lavorativa, abolizione dei castighi corporali e , in caso di licenziamento, la corresponsione di un indennizzo di trecento pesetas per ogni uomo che venisse licenziato.
Per presentare queste richieste che erano state elaborate in notturne assemblee clandestine, stabilimento per stabilimento, gli uomini del ‘salnitre’ avevano costituito un comitato di sciopero di venti uomini. Il presidente si chiamava José Briggs un meccanico anarchico e il vicepresidente era un imbianchino,  Luis Olea Castillo, anche lui anarchico. Era lui che aveva fondato ‘La Agitacion’ e ‘El Defensor’, due giornali e soprattutto aveva messo in piedi il ‘Centro Studi Sociali Redencion’. Luis ha capito che prima di presentare la benché minima richiesta sindacale, occorre impostare un vero e proprio lavoro culturale che faccia prendere coscienza agli operai dei loro diritti . Che soprattutto essi capiscano che la loro situazione di schiavi salariati non è dettata dal destino . Che sono uomini e non quelle creature incomplete , che si situano tra la umanità  e la bestialità , fra il bambino e l’adolescente fra la civiltà e la barbarie . Facili prede, grazie alla loro ingenuità degli ‘agitadores’ e dei ‘revoltosos’, tutti ovviamente stranieri , come da sempre vuole la propaganda ufficiale. Luis ci ha messo un anno a fare circolare queste idee tra gli operai e ora, aspetta assieme  a circa 40.000 tra di loro, nelle vie di quella città che i minatori hanno occupato pacificamente , assieme alle loro famiglie e dove gli stivatori, gli operai dei laboratori e i panettieri che lì vivono ,si sono uniti a loro in una ‘huelga’ generale che ha stupito e preoccupato le autorità locali  per la sua compattezza ed organizzazione. E dalla quale sono stati esentati soltanto i lavoratori dell’elettricità.
In più di cinquemila tra gli scioperanti si sono accampati nella scuola ‘Santa Maria’ che in quei giorni è chiusa per le vacanze di Natale, mentre gli uomini del comitato di sciopero si sono praticamente attendati sull’ampia terrazza dell’ultimo piano dello stesso edificio.
Hanno poi comunicato al delegato del governo che concedono alle compagnie minerarie otto giorni di tempo, quelli necessari per mettersi in contatto con le rispettive  ‘casemadri’ in Inghilterra  per prendere in esame le loro richieste.
Altre migliaia tra gli scioperanti , bivaccano nella piazza vicina, che è stata intitolata al presidente del Perù Pedro Montt, che , guarda caso, è un azionista di tutte le compagnie del ‘salitre’, mentre gli altri sono dispersi nel resto della città e nei suoi immediati dintorni.
Con un ruggito di disapprovazione gli uomini e le donne che dormono nella scuola hanno  rifiutato di spostarsi al ‘Club Hipico’ che è situato fuori dalla città, come è stato loro chiesto dal delegato di polizia, che ha addotto alla sua richiesta, non meglio precisati motivi igienici. E’ palese che se gli operai si sposteranno lontani dal centro, le truppe e la polizia potranno operare nella massima tranquillità, lontani da occhi e orecchie indiscrete. Anche perché tutti sanno che il giorno prima, una pattuglia ha già sparato alla stazione Buenaventura contro una colonna di minatori che volevano raggiungere la scuola occupata.
Poi a pochi isolati dalla scuola ‘Santa Maria’ ci sono i consolati del Perù, della Bolivia, degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, con decine di impiegati che possono diventare testimoni pericolosi. Inoltre dal potere va evitata la saldatura tra i ‘salitreros’ e gli operai di Iquique che, assieme ai piccoli commercianti, portano cibo e acqua a chi è dentro la scuola o nella piazza ed è anche per questo motivo che gli operai vanno ricacciati fuori dalla città .
Gli scioperanti non sono molto preoccupati, anche se il 17 è arrivato in rada l’incrociatore ‘Blanco Encalad’ con a bordo il reggimento ‘Rancagua’, raggiunto il giorno dopo dall’ ‘Esmeralda’ che ha salpato da Valparaiso, mentre il 19 ha attraccato al porto l’ incrociatore ‘Zentero’ con a bordo i fucilieri del reggimento ‘O’ Higgins’ comandato dal generale Silva Renard che è stato inviato d’urgenza dal governo di Santiago a prendere il mano la situazione.  
Renard è stato mandato dal governo  perché il suo nome è una vera e propria garanzia , per quanto riguarda le operazioni ‘sporche’.
E’ stato infatti l’avvocato difensore dei militari che hanno massacrato nel 1903 gli stivatori al porto di Valparaiso, quando hanno proclamato  il loro primo sciopero. E anzi con un brillante sillogismo ha dimostrato al tribunale militare che i soldati erano stati le vittime della furia degli scioperanti. Nel 1904 ha diretto le truppe che hanno massacrato i ‘salitreros’ nella pampa, lontani da occhi e da orecchie indiscrete. E un anno dopo ha comandato il fuoco contro una manifestazione operaia a Santiago. Settanta morti in totale.
E’ appena arrivato a Iquique, che comanda ai fanti di marina dell’ O’ Higgins’ di disporsi in formazione da combattimento.
I fanti, vestiti con uniformi blu e ghette bianche, discendono dalle navi e corrono, verso la scuola, con le giberne gonfie di munizioni, trainando a forza di braccia due mitragliatrici pesanti, mentre il sole brilla sui lucidi kepì che i soldati portano in testa. Poi sbarcano anche i soldati del Reggimento ‘Rancagua’, i ‘Granaderos’ e gli uomini del ‘Carampague’
Silva Renard , con il portamento eretto, tipico  dell’ufficiale di cavalleria,si dirige alla scuola dove parla con  il comitato di sciopero, composto da  Olea, Briggs, ed altri lavoratori ancora. E’ accompagnato dal capitano di marina Aguirre  dal comandante Almarza e dal colonnello Ledesma,e annunciano tutti e quattro alla massa operaia che avrebbero sparato contro tutti quelli che non si sarebbero diretti verso l’Ippodromo, da lì a tre ore.
Nel frattempo un plotone di soldati ha occupato l’ufficio telegrafico e quello da dove si spediscono i cablogrammi, con l’intento manifesto di tagliare fuori dal resto del mondo la città di Iquique. Intanto alle 13.45 in punto le truppe con la baionetta innestata circondano la piazza che si trasforma per le circa settemila persone che la stanno occupando in quel momento, in una gigantesca tonnara.
E’ a questo punto che i consoli  di Perù e Bolivia, cercano di convincere gli operai dei loro paesi ad andarsene dalla piazza e ad uscire dalla scuola che si stanno trasformando in un’enorme trappola. Ma questi rifiutano e anzi un loro portavoce risponde che ‘Abbiamo cominciato con i cileni e assieme a loro finiremo’.
Gli uomini del comitato di sciopero che dall’alto della  terrazza hanno seguito le manovre delle truppe, cominciano ora a preoccuparsi, anche se appare loro impossibile che i soldati sparino sulla massa inerme, tanto indifesa che, per non prestare il fianco a nessuna provocazione, quando i minatori sono entrati in città, uomini fidati , scelti dal comitato , hanno loro sequestrato i bastoni a cui si erano appoggiati durante la marcia.
E’ a questo punto che Ollea si toglie la camicia e rimane a dorso nudo, fa vedere in questo modo ai soldati che se c’è qualcuno con cui prendersela, tocca agli uomini del comitato essere in prima linea ed essere ritenuti i colpevoli.
Gli uomini dell’ O’ Higgins, nel frattempo si sono divisi in due reparti, ‘prima fila, ginocchio a terra’ come dice il regolamento e  alle 15.45 in punto aprono il fuoco in due diverse direzioni.
Uno dei reparti ‘spazza’ con una raffica la terrazza su cui sono rimasti gli uomini del comitato che cadono l’uno sull’altro, mentre l’altro reparto, comincia a tirare contro l’ingresso principale della scuola. A questo punto, comincia il ticchettio delle mitragliatrici, quelle con il caricatore verticale, montate su ruote di legno , che tirano nel mucchio. La folla terrorizzata e urlante, cerca di uscire dalla piazza, ma vien ricacciata all’interno dai soldati con le baionette innestate, mentre le mitragliatrici continuarono a sparare. Da lì in avanti fu il macello. Quelli che non morirono nella piazza o all’interno della scuola, vennero spinti lungo calle Barros Arano fino all’ippodromo.
Quanti furono i morti nella ‘mattanza’ della ‘Escuela Santa Maria’? Per il generale Renard circa centoquaranta, almeno a dare retta al rapporto che ebbe a stilare per le autorità militari, ed ebbe l’improntitudine di scrivere anche che le truppe al suo comando avevano agito con umanità. Anche perché da dentro la scuola, uscivano in continuazione grida di ‘Guerra allo stato e al capitale’ e ‘le forze militari non vacillarono’ nell’adempiere al compito che era stato loro assegnato.
Compirono tanto bene il loro dovere, che il governo di Santiago si felicitò pubblicamente con il generale Renard, con tutti gli ufficiali, i sottoufficiali e gli uomini della truppa.
Un sottufficiale del reggimento Carampague, di morti ne contò 900 , tra cui otto soldati, falciati questi dalle raffiche dei loro commilitoni. Per i consoli delle delegazioni presenti a Iquique il macabro computo delle vittime ascese ad alcune migliaia. Tra i tre e i quattromila, almeno a dare retta alle loro testimonianze. Il console degli Stati Uniti informò il suo governo che: ‘La scena era indescrivibile. Sulla porta della scuola , i cadaveri erano ammonticchiati e anche la piazza era ricoperta dai morti’. Il console britannico mister Charles.N.Clark affermò che ‘le mitragliatrici spararono per un minuto e mezzo, lasciando sul selciato un numero di morti che risulta difficile da calcolare’. Il corrispondente dell’ ‘Economist’, fece la cifra di cinquecento morti, anche se sottolineò che innumerevoli feriti morirono all’Hospital de Beneficenza, dove erano stati trasportati e furono rapidamente interrati in una fossa comune, per evitare di essere conteggiati tra le vittime. Altri parlano di duemila morti.
Tanti caddero crivellati di colpi nella piazza che una foto mostra letteralmente inondata di sangue, con decine di cadaveri, stesi di schiena sul selciato. Tanti altri furono rinvenuti tra le mura della scuola, trasformata in un mattatoio, letteralmente sbriciolata  dai proiettili delle mitragliatrici. Molti altri ancora morirono in seguito alle ferite riportate, stesi sui prati dell’Ippodromo , dove erano stati trasportati feriti o negli scontri armati che si accesero un po’ in tutta quanta la città .
Molti degli uomini che avevano fatto parte del Comitato di Sciopero furono uccisi quel giorno. Non si sa che fine abbia fatto José Briggs che del comitato era il presidente. Si sparse la voce che anche Olea era stato ammazzato. In realtà, pur se gravemente ferito , questi riuscì a fuggire prima in Perù, poi in Ecuador dove morì nel 1911. Sembra schiantato dal dolore per quello che era successo a Iquique.
Le migliaia di sopravvissuti, circondati dai soldati con il proiettile in canna, vennero caricati a forza, terrorizzati e sanguinanti sui pianali scoperti, usati di solito per trasportare il salnitro e riportati nelle miniere e negli impianti di trasformazione che avevano lasciato cinque giorni prima .
Alcuni di questi morirono durante il tragitto,colpiti dalle ‘guardias blancas’e dai sorveglianti che spararono contro di loro, mentre la lunga teoria dei vagoni sfilava lentamente, diretta verso il deserto. Vennero anche sospese le pubblicazioni dei giornali operai, affinché nessuno, ma proprio nessuno potesse raccontare quella storia E il governo di Santiago spedì  un reggimento di Carabineros e il reggimento ‘Arica’ con il compito di custodire le miniere del ‘salitre’ e di sorvegliare sulla pampaintera.
Ci vollero altri scioperi e altre morti, come quelli di San Gregorio nel 1921, di Marussia y Coruna  nel 1925, perché gli operai del ‘salitre’ ottenessero ciò che era stato chiesto ben diciotto anni prima.
Fino agli anni ’40, le miniere del ‘salitre’ erano tutte intensamente sfruttate, poi, poco a poco vennero dismesse, come dicono oggi i ‘tagliatori di teste ’ quando buttano per strada gli operai di una fabbrica.
L’ultima a chiudere fu quella della ‘Victoria’ che serrò i battenti nel dicembre del 1979. Gli impianti dove lavoravano decine di migliaia di uomini sono stati recentemente definiti dall’Unesco, ‘Patrimonio dell’Umanità’. Malgrado siano state abbandonate da decenni, grazie al clima secco e asciutto del deserto, i capannoni, le baracche , gli impianti di trasformazione rimangono ancora intatti, una specie di muta testimonianza di quegli uomini e di quegli avvenimenti.

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