domenica 17 aprile 2011

LA CAPITANA


 
Nel Quartiere Latino di Parigi,in quella notte di maggio,le barricate che gli uomini delle Compagniés Republicainés de Securité debbono ancora espugnare, sono ormai rimaste quattro o cinque. Anche se le difendono gli anarchici, i “situazionisti”,i ragazzi del ‘22 Marzo’ e i katanga,quelli insomma che hanno deciso di rimanere fino alla fine.
Nell’aria tiepida di quella notte di primavera che già porta con sé l’arrivo dell’estate,ristagnano i fumi e l’odore acre delle centinaia di granate lacrimogene che per tutto il giorno i poliziotti hanno tirato a parabola contro quei ragazzi.
Durante il pomeriggio, si era sparsa la voce che si preparavano ad arrivare in soccorso degli studenti , gli operai della Renault di Billancourt e delle altre grandi fabbriche che allora rappresentavano la ‘cintura rossa’ di Parigi. Ma malgrado siano passate delle ore, non si è visto nessuno. Gli operai infatti non si sono mossi, obbedienti agli ordini del partito comunista e del sindacato, che vedono come un pruno nell’occhio quella rivolta.
Sulle barricate tanti giovani, anche se qua e là spicca la testa bianca di un uomo in età avanzata. Manca chi ha trent’anni o giù di lì. Troppo giovane per avere attraversato gli anni esaltanti del ‘Fronte Popolare’ e della Resistenza e troppo vecchio per vivere appieno la fine degli anni ’60.
‘ Madame la dobbiamo accompagnare. Potrebbe essere pericoloso’ e gli agenti premurosi scortano al sicuro, lontano dalle barricate che si preparano ad assaltare , quella anziana signora dall’aspetto fragile e il viso ancora bello. Una signor tanto distinta , che in quella notte tiepida, certamente ride tra sé della malriposta premura degli uomini in uniforme.
Infatti, lei non è finita per caso sulle barricate del Quartiere Latino, come non c’è finito per sbaglio il suo amico Cipriano Mera che ha ormai settanta anni o giù di lì. Cipriano a cui lei è legata da un vincolo di tenera amicizia e a cui  deve la vita. L’uomo che ha rughe profonde come trincee che gli attraversano la fronte e gli disegnano il viso e la pelle delle mani irrimediabilmente rovinata dalle centinaia di tonnellate di calcina che ha impastato per tutta una vita.
L’uomo che è stato cacciatore di frodo nella tenuta personale del re di Spagna, muratore appunto, militante dei ‘gruppi d’azione della CNT, sindacalista, soldato, comandante di una divisione prima e di un corpo d’armata poi sul fronte di Madrid. Che è stato decine di volte in carcere, che ha imparato a leggere a ventisei anni compiuti, che la polizia comunista ha cercato di uccidere almeno tre volte e che Franco ha condannato al ‘vil garrote’ a cui è scampato per puro miracolo. Cipriano che l’ha tirata fuori da una ‘ceka’ a Madrid, quando i comunisti stavano per metterla al muro.
Cipriano che in quel momento è appostato dietro alla barricata su cui sventola la bandiera nera, lui che ha insegnato a quei ragazzi prima divertiti, poi stupiti e ammirati, come si costruisce a regola d’arte una barricata.
Cipriano, che come lei è stato tante cose, sempre rimanendo dalla parte giusta.
Mika Etchebere, così si chiama quella signora distinta,è stata infatti odontotecnico, intellettuale, insegnante e militante politico.  Ma soprattutto i suoi uomini l’hanno chiamata la ‘Capitana Mika’, perché durante la Rivoluzione di Spagna , è stata l’unica donna che abbia mai comandato un reparto da combattimento, una compagnia di fucilieri del P.O.U.M sul fronte di Madrid.
 Michele (Mika) Feldmann nasce il 14 marzo del 1902 nella colonia di Moishesville, una colonia che in qualche modo anticipa i ‘kibbutz’, nella pampa umida della provincia di Santa Fe in Argentina, ed è una bambina prima e un’adolescente poi ,curiosa e studiosa che si trasferisce assieme alla sua famiglia a Buenos Aires.
Appena arrivata nella capitale, dalla terrazza della sua abitazione, assiste al macello che la Liga Patriotica e l’ esercito argentino compiono, durante la ‘Semana Tragica’, delle centinaia di ebrei che vivono nel ‘Barrio de los Judios’.
Erano tanti allora gli ebrei che ogni anno emigravano in Argentina. Quasi tutti piccoli commercianti cenciosi che fuggivano la miseria senza speranza alcuna che li attanagliava nei loro paesini in Galizia o nelle steppe dell’Ucraina e i ‘pogrom’ che si abbattevano periodicamente sulle loro famiglie.
Vanno in America a cercare pane e libertà. Scoprono però fin da subito che anche nell’ immensa Argentina, per loro non esiste diritto alcuno, nemmeno quello di possedere il nome di un paese. Sul loro passaporto infatti, alla voce ‘nazionalità’, è stampigliata la parola di ‘apolide’. E se per tanti, questo viene vissuto come un’intollerabile discriminazione, per Mika è un vanto. Infatti, lei non ha certo bisogno di una patria per sentirsi parte di qualcosa di grande. Quella ragazzina scura di capelli e d’incarnato, dall’ingannevole aspetto fragile, ha già deciso, ad appena diciassette anni da quale parte stare. E ci rimarrà per tutta la vita, senza mai nascondersi  le cose orribili, i cedimenti e gli inganni che compiranno anche quegli uomini e quelle donne assieme a cui combatterà per tanti anni.
Non ha ancora venti anni, quando si innamora di un ragazzo della sua età, che si chiama Hipolito Etchebere, uno tra i più acuti e misconosciuti intellettuali nella storia dell’Argentina. Tutti e due si legano a ‘Insurrexit’, un gruppo di giovani studenti universitari che propugnano un approccio critico, non convenzionale e articolato alla cultura e alla politica . Quei ragazzi, capaci di elaborare un progetto di riforma universitaria in anticipo sui tempi, sono dei rivoluzionari senza aggettivo alcuno e questo a Mika e Hipolito basta e avanza.
E’ a Buenos Aires che prende corpo il progetto di andare a vivere in Patagonia, dove i braccianti organizzati dalla F.O.R.A, sono stati massacrati a centinaia dalla cavalleria del generale Varela. Il loro intendimento è di aprire a San Antonio Oeste, sul Rio Negro, un ambulatorio di odontotecnica, disciplina nella quale Mika si è appena diplomata all’ università. Poi, risparmiata la somma necessaria, trasferirsi in Europa, dove si sta facendo la storia.
La Patagonia per loro due è una scoperta. In quella terra sconfinata, dove il cielo e la terra sembrano davvero potersi toccare, fra i ghiacci e il vento, Mika e Hipolito pensano davvero di rimanere per sempre, e vivere a contatto con quella natura ancora incontaminata.
Anche perché il clima secco e asciutto è di grande giovamento per la tubercolosi che già affligge Hipolito.Ma poi decidono all’improvviso di abbandonare quella specie di Eden e di partire per l’Europa e la loro prima meta non può non essere Parigi. Qui abitano un minuscolo appartamento, studiano alla biblioteca pubblica del quartiere, collaborano a una rivista e per vivere Mika dà lezioni di spagnolo.
A Parigi si legano ai coniugi Rosmer, a Kurt Landau e ad altri ‘irregolari’ come loro, a quelli che sono sempre dalla parte giusta, quella di chi vuole cambiare le cose, ma sempre senza aderire in ‘toto’ a un’organizzazione. Sempre fedeli ma sempre critici. Quelli per intenderci, che hanno salutato con entusiasmo la rivoluzione russa, ma che poi tra i primissimi ne hanno vista e denunciata la deriva burocratica che sfocerà poi nel totalitarismo staliniano.
Ma la salute di Hipolito peggiora, tanto che un giorno Mika lo trova riverso sul pavimento, tutto ricoperto di sangue, frutto di un attacco particolarmente devastante. Quando lui si riprende , per tutta consolazione dice a Mika:
‘ Non i preoccupare. Non ho certo l’intenzione di morire di malattia’.
Sono a Berlino nel 1932. Qui rimangono colpiti dalla disciplina e dall’organizzazione degli operai comunisti, ma anche disgustati dalla profanazione di massa che impunemente compiono i nazisti , delle tombe del cimitero ebraico e di quelle degli ‘spartachisti’. Vedono con chiarezza la tattica suicida del Comintern ,accettata supinamente dai ‘bonzi’ del KDP. Soprattutto sono sconvolti ma non sorpresi quando, il primo maggio del 1933, le camicie brune occupano e devastano , senza resistenza alcuna, la sede centrale dei sindacati a Berlino. Capiscono che Hitler non è un tiranno qualsiasi, egli è  ‘Behemoth’, il mostro che l’Antico Testamento voleva che sarebbe uscito dall’inferno per ingoiare la terra intera.
La sola speranza per fermarlo, è rappresentata dalla Spagna, che ha già dimostrato con l’ ‘Ottobre Asturiano’ che in quella terra sono ancora in tanti disposti a battersi con le armi in pugno.
Mika e Hipolito si trasferiscono così nelle Asturie per scrivere un libro su quella rivolta che è stata appena annegata nel sangue.
Attraversano i tetri paesini della conca mineraria, dove vivono assieme alle loro famiglie i centomila minatori che ogni giorno si calano nelle viscere della terra. Intervistano quelle donne scarmigliate, già vecchie a trenta anni, si incontrano con i minatori ‘huidos’, che si nascondono tra le montagne, per evitare la rappresaglia dell’esercito. Ed è a questo punto che si rendono conto che la repressione compiuta dall’esercito in quella terra dove piove più che in Cornovaglia è stata spaventosa. I minatori e gli operai uccisi, in gran parte fucilati o sgozzati dopo la fine dei combattimenti ,sono stati migliaia e ancora di più sono  quelli gettati nei bagni penali di tutta la Spagna.
Poi, raccolto il materiale indispensabile a scrivere un libro sull’epopea delle Asturie, vanno a vivere a Madrid.
Perché proprio a Madrid? Perché Mika e Hipolito hanno un istinto tutto speciale che li porta ad essere presenti là dove si cerca di cambiare il mondo. Ed è a Madrid che la notte del 18 luglio del 1936, quando ha inizio il ‘golpe’ i due vagano da una sede sindacale all’altra, in cerca di qualcuno che ceda loro un’arma.
Sono due intellettuali, senza nessuna preparazione militare, se si eccettuano alcuni studi teorici che ha fatto a tale proposito Hipolito, ma vogliono battersi. E lo fanno assieme a decine di migliaia di altri, assieme ai quali assaltano la caserma della Montana.
I combattimenti di strada sono appena finiti con l’insperata vittoria del proletariato madrileno, che incredibilmente un gruppo di operai chiede a Hipolito di guidarli in combattimento . Proprio a lui, che fino a quel momento non ha maneggiato un’arma e , fatto ancora più incredibile, i dirigenti del P.O.U.M sono d’accordo con la richiesta degli uomini e affidano il comando di una colonna a un fragile intellettuale e per di più straniero.
Strana guerra quella di Spagna. Del resto, se un muratore semianalfabeta come Cipriano Mera si prepara di lì a poco a diventare generale di divisione, non può forse un intellettuale malato di tubercolosi guidare un centinaio di uomini contro le armate fasciste che, dalla sierra del Guadarrama stanno calando sulla città?
E Hipolito che porta sempre una ‘boina’ basca in testa e che per i suoi uomini ‘ha come una stella in fronte’, guida con ferma dolcezza la colonna fino ad Atienza, dove lo uccide una pallottola di mitragliatrice.
E’ a questo punto, quando Mika è spezzata dal dolore, che gli uomini che compongono la colonna, quasi tutti contadini della Mancha e dell’Estremadura, le consegnano il cappotto,la pistola e il fucile che sono stati di Hipolito.
Mika, in un primo momento, non capisce che quell’offerta dal sapore barbarico, è la richiesta da parte di quegli uomini, che lei li  dovrà guidare in combattimento. Quei contadini in  pochi mesi, hanno imparata ad apprezzarla per quello che le hanno visto fare, per le sue doti e le sue capacità. Quegli uomini hanno capito fin da subito che Mika non è la compagna di…, nemmeno di un uomo che hanno rispettato e amato come Hipolito. Lei è Mika e basta. E da quel momento in avanti, sarà semplicemente ma definitivamente la ‘Capitana Mika’.
E lei, fin da subito dimostra di quale pasta è fatta. Contravvenendo l’ordine cervellotico che le era stato impartito da un ufficiale, uno dei pochi rimasti fedeli alla Repubblica, Mika non rimane chiusa nella cattedrale di Siguenza a giocare agli spartani alle Termopili come l’uomo vorrebbe.
Aspetta la notte, ‘buca’ l’accerchiamento fascista e porta in salvo gli uomini che hanno deciso di seguirla. Gli altri che rimarranno asserragliati all’interno della cattedrale, verranno tutti uccisi.
E’ sul fronte di Madrid che Mika darà il meglio di sé. Madrid che è stata abbandonata dal governo di Francisco Largo Caballero che è vergognosamente fuggito a Valencia, perché l’avanzata di Mola dalla ‘sierra’ appare inarrestabile.
Ma Madrid è una città che ha deciso di non arrendersi e di fare da sé e i manifesti della CNT che, dalle cantonate della case gridano ‘Viva Madrid sin gobierno’ corrispondono al sentire più profondo della stragrande maggioranza delle donne e degli uomini che la abitano. Contro le truppe di Mola combattono tutti. Combattono gli uomini del Vo Regimiento, gli anarchici diretti da Val e da Cipriano Mera e anche la colonna di Mika. Quella resistenza contraria a tutte le regole che si insegnano delle accademie militai del mondo intero alla fine ha successo. Le colonne fasciste vengono arrestate alla periferia della città e lì rimarranno inchiodate per i successivi tre anni.
La compagnia di Mika che nel frattempo è diventata una compagnia di fucilieri, ‘tiene’ la Pineda de Humera prima e il settore della Moncloa poi, con tanta efficacia che il tenente colonnello Ortega prima e il colonnello Perea , si felicitano con quella ragazza dai lunghi capelli neri.
Mika sa che il compito che ha accettato è difficile e impegnativo, perchè  dirigere una colonna non è come comandare un reparto dell’esercito regolare.
Quegli uomini infatti combattono non perché costretti ma per convinzione. Sono  militanti politici in armi e non soldati. Lei deve essere in grado di trovare un punto di equilibrio tra la conoscenza delle tecniche che la guerra moderna comunque esige, e l’entusiasmo di quegli uomini che si battono in nome di una causa. La strada che Mika sceglie è quella di crescere tutti assieme. Lei e gli uomini che comanda.
‘Per loro ero madre ma anche figlia e loro per me erano allo stesso tempo, figli e padri’, dichiarerà in seguito, li ‘proteggevo e mi proteggevano’. Accetta nel suo reparto le ragazze che hanno abbandonato le Brigate Internazionali, perché esse non vogliono limitarsi a a cucinare, rammendare le divise  e curare le ferite dei compagni.
‘Se arrivano i fascisti voglio morire per la rivoluzione con un fucile e non con un mestolo da cucina in mano’. Così le ha detto una ragazza tedesca quando Mika le ha domandato perché vuole arruolarsi nelle fila del suo reparto. Inoltre Mika convince i suoi uomini a dare una mano in cucina, riuscendo così a vincere la tradizionale divisione dei ruoli che prevede che la donna se ne stia tranquilla in cucina, sia pure una cucina da campo e l’uomo a lottare per difendere i propri cari.
Mika è amata dai suoi uomini, tanto che un giorno, quando viene sepolta completamente dalla terra che un obice le ha scagliato addosso, di lei affiora soltanto il tacco di uno stivale, allora tutti gli uomini scavano a mani nude per salvare  la ‘Capitana’ dal soffocamento.
Lei li cura con dedizione quando sono malati, ma è anche capace di durezze improvvise, come quando schiaffeggia violentemente un miliziano che si è rifiutato di eseguire un ordine.
E’ bella Mika. Una foto la mostra sorridente in compagnia di quattro miliziani, una gran massa di capelli neri, occhi liquidi e colore del carbone, stivali e panni informi che tuttavia non riescono a nascondere la sua femminilità.
Capisce perché i suoi uomini le sono così incondizionatamente fedeli quando uno di loro le dice:
‘ Che in questa guerra che è la nostra guerra, muoiano degli spagnoli mi sembra normale. Però che degli stranieri come tuo marito, come il Marsigliese, come tu stessa veniate qui a lottare per noi, a morire per la nostra causa, questo è veramente fuori dal comune’. Nessuno le aveva mai fatto un complimento così bello.
Ma la guerra di Spagna è fatta anche di tradimenti e di assassinii, tra i più vigliacchi e osceni mai avvenuti nella storia del movimento operaio.
Infatti i comunisti, hanno deciso di farla finita con tutti i rivoluzionari che minacciano di trasformare quella guerra in una rivoluzione che metterebbe in crisi quell’ordine europeo che Stalin ha perseguito con cura maniacale.
Arrivano infatti già nel ’37 , notizie sconvolgenti che filtrano tra le maglie sempre più strette della censura militare. Notizie che parlano di divisioni decimate in assurdi assalti frontali, di anarchici e di ‘poumisti’ sparati nella schiena, fin sulla linea di fuoco. Josep Rovira, uno dei più apprezzati e conosciuti militanti del P.O.U.M, che comanda la XXIX Divisione, è stato arrestato, e c’è voluto l’intervento del capo del governo Prieto in persona, per farlo rilasciare. Andrés Nin è scomparso e come lui tanti altri, in una ‘ceka’, una delle tante che il partito comunista ha messo in piedi.
Ma soprattutto i comunisti, danno una caccia spietata ai tanti  rivoluzionari stranieri che sono arrivati in Spagna a combattere per la rivoluzione. Spariscono nel nulla infatti : Freund, Erwin Wolf, che è stato segretario di Trotski e tanti altri.
E Mika non può non avere addosso gli occhi degli sgherri della ‘Ghepeu’, visto che tra l’altro, tutti sanno di quale ascendente ella goda sui suoi uomini.
E’ per questi motivi che un giorno i poliziotti del SIM si presentano al comando di compagnia e la arrestano. I suoi uomini disperati, che, a rischio della propria vita sono riusciti a sapere dove è stata condotta, si rivolgono a Cipriano Mera che nel frattempo è diventato un generale dell’esercito popolare affinché li aiuti nella loro affannosa ricerca della ‘Capitana’.
E’ a questo punto che le vita di Mika e di Cipriano si incontrano. Mera, anche se ormai comanda un corpo d’armata forte di 65.000 uomini, non si è certo dimenticato di essere stato un uomo dei ‘gruppi d’azione’ della CNT di Madrid. Prende con sé una ventina di uomini fidati e marcia sulla ‘ceka’ dove Mika è rinchiusa. Si presenta in quelle sordide stanze dove scompaiono tanti rivoluzionari leali con un tascapane ricolmo di bombe a mano e si porta via Mika.
Per evitare rappresaglie, lei e i suoi uomini si incorporano nella 14° Divisione, una delle ultime unità ‘cenetistas’ rimaste.
E’ finita. Da lì in avanti quella guerra che era cominciata nell’entusiasmo e tra i profumi stordenti di un’estate speciale, diventerà soltanto una terribile questione di vita e di morte. Entreranno in ballo i fantasmi macabri rappresentati dalle cancellerie, i tradimenti dei comunisti, i colpevoli silenzi e i cedimenti della CNT.
Quando infine i fascisti entrano in Madrid, Mika si nascose nel collegio francese della città, poi, contando sul suo passaporto francese, riesce ad arrivare in Francia e da qui si imbarca per l’ Argentina.
Ma , nel paese dove era nata, Hipolito non c’era più. I suoi amici del gruppo ‘Insurrexit’ si erano dispersi ai quattro venti e Juan Domingo Péron aveva preso il potere.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Mika tornò a Parigi. Per vivere era tornata a  dare lezioni di spagnolo e a fare delle traduzioni per conto di una casa editrice.
Si avviò serenamente verso la vecchiaia grazie a Simone Collinet, un'amica che anni prima, le aveva consigliato di acquistare un quadro di Picabia, uno dei maestri dell’ Impressionismo. Da quella operazione Mika non guadagnò moltissimo, il sufficiente per campare, ma del resto lei non aveva mai avuto bisogno di molto per vivere.
In quegli anni scrisse un libro : ‘La Guerre d’Espagne et moi’, in  cui riuscì a consegnarci la memoria di quegli uomini che aveva salvato e che le avevano dato la vita.
Quella sera del maggio ’68, era tornata in strada per dare una mano a quei ragazzi, così come aveva fatto il suo amico Cipriano. Si era allontanata dalla barricata soltanto per andare in cerca di un paio di guanti. Ne aveva bisogno perché disselciare a mani nude il pavée non è certo agevole. Perché si sa ,la pelle delle persone anziane è facile a sciuparsi.
Cipriano morì a Parigi il  24 ottobre del 1975. I suoi funerali ebbero luogo il trenta di quello stesso mese, nel cimitero di Boulogne-Billancourt. Quando fu interrato, era una giornata di una infinita dolcezza autunnale. Tra i partecipanti c’erano tra i tanti il filosofo Agustin Garcia Calvo, Simone de Beauvoir  e Jean Paul Sartre. Una catena di emittenti televisive, tra cui la BBC ,filmò il tutto.
Sei compagni portarono la cassa in cui era composto Cipriano e su cui era ben distesa la bandiera della CNT. I sei uomini si muovevano a brevi e rapidi passi, tenendosi sotto braccio, lungo quei diritti e lunghi viali. Una corona  dai fiori bianchi, portava la scritta 'Al Companero Cipriano', in tanti si abbracciavano, altri fumavano tranquillamente e parlavano assieme ai compagni che non vedevano da tempo. Anche Mika , come tanti altri, si mise in fila per gettare un pugno di terra nella tomba che avrebbe contenuto Cipriano, che per suo espresso volere non portava nessun segno di riconoscimento.
Mentre seppellivano Cipriano, tutti aspettavano la notizia della morte di Francisco Franco y Bahamonte, che sapevano essere entrato in coma irreversibile. Per molti, quella speranza, attenuava, sia pure di poco, la tristezza che provavano in quel momento, per quel funerale che fu particolarmente dolente, come sempre lo sono quelli degli esuli
Il ‘Verdugo’ morì venti giorni dopo, purtroppo Cipriano non lo seppe, o magari in qualche modo ne venne a conoscenza.
Nel 1978 Mika fu fermata dalla polizia in Place del Pantheon. Era lì arrivata proveniente da rue de Rivoli, dopo avere attraversato il Pont Neuf, assieme a altri manifestanti che protestavano  contro la dittatura argentina del generale Lanusse, che stava facendo sparire decine di migliaia di giovani.
Mika Feldmann Etchebere, la ‘Bella Abissina’, come l’aveva sempre teneramente chiamata Hipolito, la donna che aveva vissuto in due continenti e in tanti paesi, che assieme a molti altri aveva inseguito la rivoluzione per tutta l’Europa, che era passata indenne attraverso quegli anni che furono per davvero gli ‘ anni del ferro e del fuoco’, muore a Parigi, la città che tanto amava, il 7 luglio del 1992.
Su ‘Le Monde’ dell’11 luglio, i suoi amici le dedicarono un necrologio dolce e tenero:
‘ Mika fu la fedeltà, il coraggio,l’amicizia e il rigore. Amava Parigi, i pappagalli, i gatti e le peonie’.
Le sue ceneri vennero disperse nella Senna.

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